Ottocento chili di cocaina provocarono l’assalto e la distruzione di Allende, un paesino di Coahuila, in cui i narcos del gruppo degli Zetas trasformarono i ranch in campi di sterminio. Il tutto coperto dal silenzio ufficiale.
Per dieci giorni, tra domenica 26 gennaio e mercoledì 5 febbraio 2014, quasi un centinaio di funzionari pubblici di Coahuila lasciarono le proprie scrivanie e realizzarono un lavoro di campo inusuale per indagare cosa fosse accaduto a decine di persone sparite in questa regione del nord est del Messico. L’ambiziosa operazione ufficiale ha riguardato ispezioni forensi ad una cinquantina di case, negozi, carceri, ranch e tenute abbandonate così come interrogatori e ex sindaci, ex commissari e ex segretari di undici paesi e città vicini alla frontiera con gli Stati Uniti.
Nonostante questo, la crociata governativa si è conclusa nella confusione e tra i reclami di un settore della stampa interessata al tema, e dubbi sull’efficacia da parte delle organizzazioni locali che rappresentano i familiari degli scomparsi.
Anche se parteciparono le polizie statali, federali, soldati e ufficiali della marina, dell’operazione fu incaricato un reparto del governo di Coahuila creato nel 2012, il cui nome, molto lungo, riassume la tragedia che ha sofferto questo Stato che è il primo nella lista di denunce e sparizioni forzate nel Paese: ‘Subprocuraduria para la Investigacion y Busqueda de Personas No Localizadas, Atencion a Victimas, Ofendidos y Testigos de Coahuila‘ (Reparto della Procura per la ricerca di persone non localizzate, assistenza alle vittime, alle persone colpite e ai testimoni di Coahuila). In questa storia lo chiameremo semplicemente ‘reparto della procura’ e basta.
Uno dei luoghi nei quali si focalizzò il reparto operativo fu Allende, un piccolo municipio ubicato nella regione de ‘Le cinque sorgenti’, nota con questo nome per le enormi fonti d’acqua nel mezzo della pianura. Nel marzo del 2011 questo paese di 20mila abitanti soffrì un massacro sui cui solo ora le autorità stanno indagando. Commandi degli Zetas quella primavera saccheggiarono e distrussero una cinquantina di edifici e sequestrarono 300 persone, secondo i calcoli della task force. Tutto questo accadde nel silenzio e sotto copertura ufficiale.
Sulla strada
Colombia si trova a 257 chilometri da Monterrey. Colombia è il nome che diede il governo di Carlos Salinas de Gortari ad una comunità creata nel 1992, per restituire a Nuevo León un piccolo pezzo della frontiera del Messico con il Texas, la cui maggiore estensione è condivisa tra Tamaulipas e Coahuila. All’arrivo a Colombia (Nuevo León) bisogna prendere la Ribereña, una strada angusta che costeggia la riva del fiume Bravo sul versante messicano. A est lasciamo Nuevo Laredo, Reynosa e Matamoros: a ovest si trovano Guerrero, Piedras Negras e Ciudad Acuña.
La prima cosa che si trova ad ovest di Colombia – anche se sembra strano perché qui non c’è mare – è un Posto Navale di Sicurezza. Decine di case di campagna addossate al ciglio della Ribereña furono alzate dalla Marina Armata, che rafforzò la sua presenza dal 2012. Ufficiali della marina nati a Tabasco, Campeche, Veracruz e altri Stati tropicali sono accampati qui o fanno la guardia nelle trincee collocate alla metà del monte. Altri controllano le poche persone che passano da questa strada sulla quale si sono verificati decine di scontri tra convogli dei narcos e le forze ufficiali tra il 2010 e il 2013, anche se sono ancora di più gli scontri che non sono stati resi pubblici. Dopo il Posto Navale c’è il monte, bruciato dal sole, che anche in inverno sferza le piante di yucca e i cactus che costituiscono la vegetazione locale.
Di tanto in tanto appaiono cartelli che annunciano l’ingresso a ranch La Dueña, San Isidro, Los Apaches, La Burra, Arroyo Seco y Don Óscar. Ci sono anche costruzioni in rovina di organismi pubblici o privati con le pareti bucate dagli spari. Se la Ribereña è occasionalmente un campo di battaglia, i ranch contigui possono essere zone di approvvigionamento, allenamento, travaso o rimesse clandestine. Sembrerebbe che solo raramente siano ranch comuni dedicati alla semina e coltura del raccolto.
Durante il lavoro della task force, il reparto della Procura trovò quattro fusti industriali e varie tracce di vestiti consumati dalle intemperie in un pendio, sul ciglio della Ribereña, all’altezza di Guerrero. Questi barili erano serviti come forni crematori improvvisati dalla mafia della regione per far sparire i corpi delle vittime. Ai soldati piace usare metafore gastronomiche nella loro narrativa. Se a Sarajevo si parlava delle ‘macellerie’ orchestrate da Radovan Karadžić, a questi rudimentali inceneritori gli Zetas hanno dato il nome di ‘cucine‘. Sul ciglio della Ribereña, tra Colombia e Piedras Negras, l’unico insediamento urbano è costituito dal gruppo di case di Guerrero. Per il resto, accanto a questa strada non abita nessuno e a tratti sembra di essere su Marte. Gli unici esseri umani che si lasciano vedere ogni tanto sono dei tipi vestiti con abiti arancioni che lavorano per Geokinetics, la compagnia di esplorazione delle risorse di gas di scisto (schale gas) esistenti.
Dopo aver percorso 144 chilometri di Ribereña, da Colombia (Nuevo León) arriviamo a Piedras Negras, (Coahuila).
Piedras Negras
A Piedras Negras parliamo con alcune persone che sono servite da testimoni al reparto speciale. Alcuni di loro lo considerano uno show, altri uno sforzo notevole, ma tardivo. Salvo eccezioni, il disgusto è la nota predominante. Ancora non sembra ci sia abbastanza coraggio per pensare che il peggio sia passato. Coahuila è devastata: e la fogna si sta aprendo solo ora. Basta dare uno sguardo ai giornali locali del giorno, la cui notizia principale è: ‘Javier Villarreal, rapito dai naros‘.
Villarreal era il tesoriere del precedente governo statale, presieduto da Humberto Moreira, che ora è esiliato in Spagna, mentre il suo vecchio collaboratore si consegnò all’agenzia Antidroga degli Stati Uniti (Dea) e collabora ora ad un caso sul riciclaggio del denaro sporco che minaccia di smascherare ancora una volta la ‘narcopolitica‘ messicana.
Ciò che invece riconoscevano i critici dell’operazione speciale diretta dal viceprocuratore Juan José Yáñez Arreola era l’impiego di un’apparecchiatura di geolocalizzazione di alta tecnologia e inoltre l’esistenza di un laboratorio mobile per processare man mano le informazioni che ottenevano gli investigatori.
Leobardo Ramos, uno dei medici che ha diretto l’ispezione forense, è rispettato a Piedras Negras. In tutti i luoghi in cui sono andati, lo specialista e la sua squadra hanno fatto il loro lavoro, mentre la Marina perquisiva il paese, l’Esercito vigilava su entrate e uscite, e la polizia federale e statale cercava funzionari e ex funzionari per raccogliere le dichiarazioni. L’inconveniente è che gli avvenimenti sui quali si sta indagando sono accaduti tre anni fa, nel migliore dei casi, e solo alcuni degli interrogati hanno fiducia nel fatto che le prove siano convincenti.
Uno dei luoghi di Piedras Negras che il reparto della Procura passò in rassegna fu il Centro di Reinserimento sociale, famoso a livello nazionale per la fuga di 129 carcerati alla fine del 2012. Secondo alcuni testimoni, all’interno di questa prigione gli Zatas crearono varie ‘cucine’ .
L’imprenditore Mauricio Fernández Garza, quando ancora era sindaco di San Pedro (Nuevo León) fu uno dei primi personaggi della politica a parlare di ciò che stava succedendo. Nell’interrogatorio fatto a fine 2011 lo raccontò così: “Io vengo a conoscenza di avvenimenti attraverso sindaci, miei amici contadini, gente che dice: ‘Sono arrivati e sono entrati in elicottero e hanno ammazzato tutti’. E questo non esce mai su nessun mezzo di comunicazione. Di questi casi ne conosco moltissimi: alla frontiera, a Tamaulipas…miei amici le cui proprietà sono state interessate da importanti interventi dell’Esercito. Dai, l’unica cosa che direi: non metto in dubbio questi interventi, l’unica cosa che dico è che non c’è informazione a riguardo. Credo che ciò che viene fuori è quello che non si può evitare che esca. Da moltissime cose di cui vengo a conoscenza, anche in Nuevo León sembra che abbiano ucciso un’infinità di gente. Non so se sia vero o no, ma un sindaco mi disse; ‘Ascolta, ci hanno chiesto, da non so dove, un bulldozer per sotterrare cadaveri di un’operazione del governo federale’.
Che sia vero o no non lo sto mettendo in dubbio, semplicemente sto parlando di cose che mi tocca ascoltare. In un ranch di un mio amico in cui è successa la stessa cosa: sono entrati in elicottero e sostanzialmente hanno ucciso tutti. Non hanno lasciato né cadaveri né cartucce. Si stanno facendo operazioni – eccome se si stanno facendo – ma molto di quello che succede non si sa.
Inoltre all’interno dello stessa criminalità organizzata c’è una grande quantità di vittime, per le loro stesse dispute interne: li mettono nell’acido e li fanno scomparire, o li sotterrano, o spariscono, o cose del genere. Di queste cose neanche si sa niente. Allora, se tu mi dicessi: sono 50 mila i morti ufficiali, credo che sia facile che si stia parlando di 250mila morti, dico per dire. Credo che sia qualcosa come 5 a 1, tra quelli della criminalità organizzata di cui non si sa niente e quelli del governo che ugualmente non si conoscono.
Anche se non ho nessun elemento per dirti perché, semplicemente dalle cifre che conosco: ne uccidono 30-40, secondo i racconti dei sindaci (di Nuevo León), da qui andando verso la frontiera. A China, o a General Bravo, non ricordo quale dei due, il sindaco mi disse: ‘Non andare negli Stati Uniti, questo fine settimana ci sono stati 30 morti, 20 il fine settimana scorso’, e sui media locali di Nuevo León non è uscito niente. E se ci sono stati 50 morti e basta, o 250mila, che è più di quanto stimo io, è uguale. Non è con i morti che il paese esce da questa situzione”.
Anche altri sindaci della regione mi hanno raccontato situazioni simili, ma hanno chiesto di non diffondere le loro testimonianze almeno finché non fossero morti o fossero giunti tempi più sicuri in zona, cosa che vedono molto lontana. Come dice Fernández Garza, questi massacri non sono usciti sui mezzi di comunicazione, ma non perché i giornalisti locali ignorassero ciò che succedeva. Sapevano ciò che stava accadendo, ma aprire un’inchiesta giornalistica, o peggio ancora pubblicarla significava l’esilio o la sepoltura per le persone coinvolte.
Ripassiamo con un collega di Piedras Niegras le diverse forme in cui la mafia aveva minacciato colleghi della zona perché non informassero su ciò che stava accadendo. Una lunga e deprimente lista che non si leggerà in questa cronaca.
Anche se tutte le raccomandazioni ci dicevano di non farlo, dopo mezzogiorno andammo via da Piedras Negras accompagnati da due camion blindati del Gruppo di Armi e Tattiche Speciali. Il ‘Gate‘ è una chiacchierata corporazione di élite creata dal nuovo governatore di Coahuila, Rubén Moreira, e da un gruppo di imprenditori locali. Si tratta di agenti senza volto né identità che hanno il privilegio di agire con la stessa durezza dei gruppi illegali che combattono.
Il Gate ci accompagna ai tre ranch che furono presi dagli Zetas nel 2011 per tenere prigioniere e far sparire decine di persone. Si trovano fuori dal centro urbano di Allende (Coahuila). Il viaggio è di solo 60 chilometri tra bellissimi alberi di noci.
Continua…
(Traduzione di Alessia Grossi)