“Questa è la storia di una battaglia tra magistratura e banche, con la politica al servizio delle banche e contro i magistrati. Questa è anche la storia di magistrati onesti, al servizio dello Stato e innamorati del proprio mestiere, la storia di chi ha lavorato duro, rischiando, per il bene comune”.
Così comincia l’ultimo libro (Ilva, una strage di stato) scritto sulla vicenda dell’Ilva. Sarà presentato oggi a Taranto all’hotel Delfino, alle ore 19.
Scritto da Giuseppe Rondinelli ed edito da Magenes, il libro racconta come è nata questa brutta storia e scende nei dettagli dei finanziamenti ai partiti, delle collusioni, delle ipocrisie. Picchia duro anche sulle ipocrisie dei tecnici. Perché Rondinelli è un tecnico. Ha una laurea in ingegneria e ha approfondito le tecnologie Corex e Finex, quelle che consentirebbero un drastico abbattimento delle emissioni inquinanti in ambito siderurgico. Nel libro viene spiegato il perché con l’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) è stata disegnata per l’Ilva una assurda strategia di ammodernamento di vecchi impianti che risulterebbe paradossalmente più costosa dell’acquisto di impianti nuovi del tipo Corex o Finex. “Un modulo Corex – scrive Rondinelli – produce in un anno due milioni di tonnellate e costa 300 milioni di euro. La domanda è semplice. Perché aggiustare a costi mostruosi una macchina vecchia (senza per altro spegnere il motore) quando invece spendendo di meno si potrebbe comprare una macchina nuova? La risposta è semplice: il padrone non vuole aggiustare nulla, tutto deve rimanere così com’è”.
Arriviamo così a comprendere meglio come mai da mesi assistiamo a una lentissima risistemazione di impianti che assomiglia ad una “moina” per fare vedere qualcosa. Ma è un qualcosa di snervante che non va avanti, tanto che le ispezioni evidenziano inadempienze che la Commissione Europea ora sanziona con una ancora più severa procedura di infrazione in corso.
Giuseppe Rondinelli “accusa” i tecnici che hanno redatto un’Aia e rimprovera l’adozione di soluzioni tecnologiche che sarebbero state bocciate persino in un esame universitario di ingegneria. Tocca questioni che furono sollevate a suo tempo anche da PeaceLink quando si discusse nel 2012 della nuova Aia.
La scelta nell’Aia di ricalcare il ciclo produttivo esistente senza mutarlo con l’adozione di nuove unità produttive ha tuttavia una sua spiegazione. È una spiegazione poco logica da un punto di vista impiantistico ma molto logica sotto il profilo strettamente economico. Rondinelli trae la spiegazione dal fatto che il gruppo Riva – presente in Brasile sin dal 1973 con la joint-venture Itabrasco – avrebbe una partecipazione pari al 49%, mentre il restante 51% è controllato dalla multinazionale mineraria Vale. “La Itabrasco – spiega la giornalista Antonietta Podda – è attualmente la maggior esportatrice di prodotti minerari in ferro verso l’Italia”.
La tesi del libro è chiara: “Riva vuole lasciare l’area a caldo così com’è – inquinante – perché ha interessi sulle proprietà dei giacimenti brasiliani di minerale di ferro ed è proprietario delle navi per il trasporto. Il minerale di ferro, il trasporto e l’energia (che Riva produce in casa) incidono per il 63% sul costo finale di produzione. In questo modo il guadagno è considerevolmente maggiore di quelli dei produttori di acciaio con moderne tecnologie che comprano energia (in aumento). Se costretto dalla politica a chiudere la sua area a caldo, non sarebbe più competitivo, anzi ci rimetterebbe visto l’andamento attuale del fabbisogno mondiale”.
Nel libro di critiche ce n’è per tutti, anche per il Presidente della Repubblica.
Rondinelli riporta in un capitolo la sua durissima lettera a Napolitano. “Questa strage di Stato che ha riempito i nostri cimiteri – scrive – è iniziata nel 1961 e le complicità fra politica, sindacato e industria sono passate sotto il Suo naso, non certamente sotto il mio. Lei difende solo il fallimento della politica che è riuscita a denudarsi dei suoi poteri mantenendo solo privilegi non più sostenibili”.