A pochi giorni dal suo primo mesiversario il Regolamento sulla tutela del diritto d’Autore online inizia a trasformare in realtà i dubbi e le perplessità che ne avevano preceduto ed accompagnato il varo.
I primi cinque ordini di inibitoria all’accesso ad altrettanti siti internet impartiti dall’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, tracciano, infatti – in un preoccupante crescendo – un quadro illuminante degli effetti collaterali che l’applicazione delle nuove norme minaccia di produrre sul web o, meglio sull’accesso al web dal nostro Paese.
Gli ordini adottati a seguito di segnalazioni provenienti dalle associazioni rappresentative dell’industria musicale e cinematografica hanno una matrice comune.
In tutti i casi, infatti, alla base dei provvedimenti, vi è una segnalazione con la quale viene denunciata ad Agcom la presenza online di un certo numero di contenuti digitali – più o meno ampio – puntualmente identificati, con titolo dell’opera e indirizzo di pubblicazione e, in tutti i casi all’accertamento del carattere effettivamente illecito della pubblicazione di tali contenuti, l’Authority fa seguire un ordine che – stante la nazionalità straniera delle piattaforme incriminate – non riguarda le sole opere oggetto di segnalazione ma il blocco integrale all’accesso delle piattaforme utilizzate per la diffusione al pubblico delle opere in questione.
Quattro dei primi cinque provvedimenti di blocco – quelli adottati proprio ieri dall’Authority (Provvedimenti 1 – 2– 3– 4) peraltro riguardano piattaforme di indicizzazione di file torrent, ovvero strumenti di peer to peer, che la stessa Agcom, nel Regolamento, aveva stabilito dovessero restare estranei all’ambito di applicazione delle nuove regole.
E si tratta, naturalmente, di piattaforme di indicizzazione di file torrent relativi a migliaia di contenuti diversi, non solo e non tanto da quelli oggetto di segnalazione da parte delle associazioni rappresentative dell’industria cinematografica o musicale, ma addirittura estranei alle opere sulle quali le associazioni segnalanti possono rivendicare una qualsivoglia legittimazione ad agire.
Ed è questo l’effetto collaterale meno digeribile di questi primi esercizi di applicazione delle nuove regole: l’Autorità “accerta”, sostituendosi ad Giudici, il carattere illecito della pubblicazione di alcuni contenuti e non dell’intera attività svolta su una piattaforma web – cosa che, tra l’altro, i segnalanti non le chiedono di fare, né sarebbero legittimati a chiederle di fare – ma si vede poi “costretta”, dalle proprie stesse regole, a disporre la chiusura dell’intera attività come se quest’ultima potesse davvero ritenersi integralmente “pirata”.
Il punto, naturalmente, non è se i cinque siti chiusi al pubblico italiano dall’Autorità siano o non siano, effettivamente, dediti – almeno in modo prevalente – alla pirateria ma il punto è che nel nostro Ordinamento non è tollerabile che chicchessia ordini la chiusura di un’intera piazza all’esito di un accertamento relativo ad una serie necessariamente specifica di episodi di “spaccio” di contenuti protetti da diritto d’autore.
E si tratta, a ben vedere, di un “effetto collaterale” che tradisce persino uno dei principi fondamentali fissati dalla stessa Authority nel regolamento ovvero quello secondo il quale l’Autorità avrebbe agito esclusivamente dietro segnalazione degli aventi diritto.
E’ evidente, infatti, che quando si ordina la “chiusura” di un’intera attività a seguito di una segnalazione che riguarda solo alcuni contenuti e che non potrebbe che riguardarne solo alcuni non avendo, neppure in astratto, i segnalanti alcuna legittimazione in relazione a tutta una serie di altri contenuti, si finisce, inesorabilmente, con l’agire al di fuori di ogni segnalazione e, nella sostanza, d’ufficio.
Difficile dire se tra le migliaia di file torrent indicizzati attraverso i quattro siti che nelle prossime ore i provider italiani dovranno rendere inaccessibili vi siano davvero contenuti resi disponibili al pubblico in maniera del tutto lecita ma si tratta di un dato che conta davvero poco.
Ciò che conta, in questa brutta deriva machiavellica ispirata al principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi – specie se la tecnologia lo consente o, addirittura, lo impone –, è che nessuno, AGCOM inclusa, è in grado di escludere che per rendere inaccessibili alcuni contenuti illeciti si sia finito per impedire la circolazione di altrettanti contenuti leciti.
Guai a smettere di sperare ed auspicare – ferme restando le perplessità di ciascuno sulla legittimità delle nuove norme varate da AGCOM – che queste prime settimane di “rodaggio” servano all’Autorità per raffinare la propria azione, “prendere le misure” e stabilire i parametri per ispirare a maggior proporzionalità i provvedimenti da adottare ma, allo stato è difficile negare che ci sia il rischio che un giorno o l’altro, i naviganti italiani, si ritrovino davanti un bel cartello con su scritto “chiuso per pirateria”, mentre provano ad accedere ad una qualsiasi piattaforma online non solo o non prevalentemente dedita alla pirateria.
Nota di trasparenza: Chi scrive rappresenta alcuni dei soggetti che hanno impugnato il Regolamento e, dunque, nonostante ogni sforzo di obiettività, quanto scritto può risultare condizionato da tale circostanza