Ogni lasciata è persa. E Angelino Alfano non vuole perdersi nemmeno un’opportunità di manifestare la sua inettitudine e la sua inconsistenza; così
non ha permesso neanche agli episodi di sabato all’Olimpico di sfuggire al suo curriculum di mediocre. Il Viminale è un ministero vacante sin dall’inizio del governo Letta, quando, sotto le mentite spoglie di creatura del rinnovamento, il fratello brutto di Gigi D’Alessio è diventato lo spaventapasseri degli Interni.
Che gli mancasse il quid eravamo stati avvisati, ma che gli mancasse il quorum necessario di capacità per farne una giusta è stata una sorpresa persino per i più scettici. All’asta degli utili idioti, Angelino è stato venduto come il pezzo più pregiato ed in effetti la soddisfazione dei clienti è stata assoluta.
L’impalpabilità politica del predestinato leader della destra moderata fa la sua prima uscita in pubblico appena un mese dopo l’insediamento del governo Letta,
in occasione della vicenda Shalabayeva, quando la moglie e la piccola figlia del dissidente kazako Ablyazov vengono rimpatriate in fretta e furia con l’accusa di avere passaporti falsificati (notizia successivamente smentita). Davanti a quello che immediatamente diviene uno scandalo internazionale, il nostro sine-quid dichiara di non essere
stato informato di nulla e che tutta l’operazione si è svolta a sua insaputa, ovvero annuncia al mondo intero che il Ministro degli Interni italiano non conta assolutamente niente. Non male come primo proclamo a solo un mese dall’insediamento.
Eppure Angelino, da delfino che è, decide di abbandonare l’allevamento berlusconiano e di nuotare da solo in mare aperto, garantendosi così di mantenere una posizione strategica all’interno della maggioranza transformers (sempre sull’orlo del precipizio), che infatti nel frattempo cambia persino premier ma non si azzarda a sostituire lo statista agrigentino al Viminale.
Una manciata di ore dopo, quando Dell’Utri, il cui piano è evidentemente ben più complesso, ha permesso, usando carte di credito e cellulare di essere ‘catturato’,
Angelino ha avuto un sussulto d’orgoglio e ha disquisito circa l’eccellenza del lavoro fatto per reperire il latitante, tronfio di
un’estradizione che probabilmente non avrà luogo mai. In questo caso, piuttosto, si direbbe che il piano “Mettiamo in salvo Dell’Utri”, ordito con cura e molto sofisticato, sia stato curato in maniera così meticolosa da salvare persino, per quanto possibile, la già boccheggiante reputazione politica del neanche troppo utile idiota.
Un po’, come nel suo caso del resto, che Ministro degli Interni lo e’ già ma non se n’e’ accorto neanche lui.