“Missione compiuta”. A Lisbona le laconiche parole usate dal vicepremier e ministro dell’Economia, Paulo Portas, per riassumere la situazione economica del Paese, risuonano ancora di bocca in bocca. Venerdì la troika (Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) ha approvato la dodicesima e ultima revisione dei conti dello Stato in merito all’assistenza finanziaria che ha portato nelle casse del Portogallo 78 miliardi di euro di aiuti per superare la crisi degli ultimi anni. Risultato: il prossimo 17 maggio sarà una data storica per tutti i portoghesi, perché il Paese si riapproprierà dell’indipendenza finanziaria (come ha fatto Dublino nel dicembre 2013) per di più senza alcun programma di aiuti extra. Lo ha annunciato domenica il premier Pedro Passos Coelho: “Usciremo dal programma di assistenza senza ricorrere a nessun piano precauzionale”, ha detto il presidente del Consiglio dalla sua residenza ufficiale, dopo la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri. Il numero due Portas ha sottolineato poi come, al momento dell’insediamento del conservatore Coelho – nel giugno del 2011 – i tassi di interesse sui titoli a dieci anni fossero del 10,6%, mentre oggi sono scesi al 3,6%. “Abbiamo la fiducia degli investitori”, ha commentato, sottolineando l’appoggio di tutti i soci europei. Da questo punto di vista, a tre anni dall’arrivo della troika, la missione può dirsi compiuta.
Tre anni di troika – Se però i mercati sorridono, l’economia reale decisamente meno. Il mercato del lavoro è stato colpito da un violento tornado, che ha lasciato dietro una scia di distruzione mai registrata. I numeri parlano chiaro: il tasso di disoccupazione ha toccato nel 2013 il 16,3%, quello giovanile è superiore al 40% e gli occupati sfiorano i livelli del 1980. Circa 827mila persone sono disoccupate, mezzo milione delle quali da più di 12 mesi. E i giovani in cerca di lavoro sono 140mila. Altri ancora sono andati via: negli ultimi due anni e mezzo in più di 300mila hanno fatto le valigie. Come dire che ogni giorno 350 portoghesi hanno abbandonato il Paese. Nel frattempo sono andati in fumo 332mila posti di lavoro, soprattutto nel settore delle costruzioni (che ha registrato un calo dell’occupazione di quasi il 35%). La perdita non è stata più elevata perché a partire dal secondo trimestre del 2013 si è cominciato a registrare un timido calo del tasso di disoccupazione. Ma la situazione non è certo positiva, almeno stando ai dati dell’Istituto di statistica di Lisbona. Senza poi dimenticare l’elevato indebitamento del settore privato e societario: le aziende rimaste lottano, con l’acqua alla gola. Come se non bastasse le tasse sono aumentate vertiginosamente, le paghe extra per i funzionari statali e le pensioni sono state ridotte, l’Iva è balzata dal 13 al 23% e i servizi pubblici sono sempre più carenti. Tasse e tagli hanno causato anche grandi proteste e mobilitazioni di piazza in tutto il paese.
Uscita sì, ma a caro prezzo – Insomma, se il Wall Street Journal aveva definito il Portogallo “un buon allievo” tra i Paesi dell’Eurozona e le previsioni – crescita del Pil dell’1,2% quest’anno – sembrano positive, le macerie lasciate dalla troika sono ancora sotto gli occhi di tutti. Gli esperti profetizzano che l’uscita dal programma non coinciderà di certo con la fine dell’austerità. Tant’è che, dopo un comunicato di felicitazioni dei soci europei, al governo di Lisbona è arrivato un nuovo diktat dall’Fmi. L’ultimo assegno di 2,6 miliardi di euro sarà corrisposto in cambio di altre dolorose misure per i prossimi anni: nuovo aumento dell’Iva e delle tasse per i lavoratori.
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