Gli avvocati del militante, accusato di oltraggio a pubblico ufficiale, hanno chiesto al Tribunale di Torino l’assoluzione del trentenne di Avigliana: "Il suo linguaggio è stato più leggero di quello di certi talk show e degli stadi". Per i legali "una vicenda marginale è diventata così perché ripresa dalle telecamere e perché è avvenuta in Val di Susa”
In tv e nelle curve si sente di peggio. Per questo Marco Bruno, il No Tav ripreso mentre apostrofava con la parola “pecorella” un carabiniere il 28 febbraio 2012, deve essere assolto. Lo ha detto uno dei suoi avvocati, Claudio Novaro, che martedì pomeriggio – insieme al collega Maurizio Cossa – ha chiesto al Tribunale di Torino l’assoluzione del trentenne di Avigliana imputato per oltraggio a pubblico ufficiale. Nei confronti di Bruno il sostituto procuratore Nicoletta Quaglino ha chiesto una condanna a sei mesi: “Il suo linguaggio è stato più leggero di quello di certi talk show e degli stadi”, ha affermato il difensore a soli due giorni dopo i fatti di Roma e il battibecco tra tifosi del Torino e il sindaco Piero Fassino. Le frasi del suo assistito sono “potenzialmente lesive”, ma “a un livello bassissimo: allo stadio si sente molto di peggio contro le forze dell’ordine”. Per Novaro quel monologo fatto di fronte a un carabiniere con toni provocatori non deve essere considerato un reato perché rientra nel “diritto di satira e di critica”.
“Che pecorella sei? Non hai un numero, un nome, un cognome? – aveva detto Bruno al militare – Comunque sei una bella pecorella”. Quel giorno i No Tav si erano radunati per un blocco in autostrada, una protesta nata dopo la caduta di Luca Abbà, uno dei leader del movimento valsusino, da un traliccio vicino al cantiere della Torino-Lione a Chiomonte su cui si era arrampicato per protestare contro l’arrivo di alcune ruspe. Dei carabinieri stavano cercando di salire per prenderlo quando lui è rimasto folgorato ed è caduto a terra. Abbà, ricoverato in ospedale, era in gravi condizioni. Così, quel 28 febbraio la giornata fu tesa.
Nel processo gli avvocati hanno chiesto di tenere conto di queste circostanze: “Sfottò, ironia, sarcasmo nei confronti dei carabinieri vanno considerati nel contesto complicato, quello di una comunità resistente da anni allo stupro della propria zona – ha affermato Novaro nell’arringa difensiva -. In questo modo si spiega la parola ‘pecorella’, in cui c’è ironia, sarcasmo, forse anche un insulto minimo, ma che voleva dire ‘Siete delle persone che si fanno comandare’”. In questo quadro complesso “queste parole potrebbero essere trascurabili”. Per il collega Maurizio Cossa questa è “una vicenda marginale diventata così perché ripresa dalle telecamere e perché è avvenuta in Val di Susa”.
Il monologo di Bruno andava avanti e il No Tav diceva al carabiniere che era “vestito come uno stronzo”. Seconda la difesa non è una frase rivolta al singolo carabiniere, ma alle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Novaro, nella sua arringa difensiva, ha chiesto di considerare anche altri due elementi. Il discorso dell’imputato al carabiniere terminava con una frase che è stata registrata, non è stata trasmessa, ma è stata confermata dal carabiniere durante il processo: “Comunque vi vogliamo bene”, gli aveva detto Bruno. Dopo quell’evento inoltre il trentenne ha ricevuto “decine e decine di lettere di minacce, mentre il carabiniere ha ricevuto un encomio per essersi limitato a non reagire, un comportamento che un pubblico ufficiale dovrebbe tenere sempre”.