L’evasione fiscale in Italia è anche un fenomeno culturale. Se la si contrasta con una politica attiva si ottiene un doppio vantaggio: si riduce il suo vantaggio razionalmente calcolato e aumenta la moralità fiscale. E, di conseguenza, la propensione a pagare le imposte. 
Evasione, un fenomeno da comprendere

L’evasione fiscale in Italia è un fenomeno culturale e, in quanto tale, immodificabile in tempi ragionevoli? Sulla base di un nostro recente lavoro, la risposta alla prima parte della domanda è “almeno in parte sì”, mentre è “decisamente no” per la seconda parte. (1)
È indiscutibile che l’evasione fiscale sia un annoso problema del nostro paese: varie stime valutano l’economia sommersa poco sotto il 20 per cento del Pil. Se poi contiamo anche l’economia criminale si stima che più di un quarto del nostro Pil sia ignoto al fisco.

L’evasione fiscale riduce le entrate necessarie per far funzionare la macchina statale e il sistema di welfare, oltre a distorcere la distribuzione del carico fiscale e dei benefici ricevuti a sfavore di chi sceglie di non evadere, o comunque non ha la possibilità di farlo.
Per combattere il fenomeno nel modo più efficace è bene comprenderne le motivazioni.

La gran parte dell’evasione fiscale è spiegabile come scelta razionale, una lotteria che il contribuente può decidere di giocare con l’Agenzia delle entrate: se vince si porta a casa un guadagno sotto forma di imposte non pagate, se perde oltre a pagare quanto dovuto, dovrà corrispondere anche una sanzione.
A determinare la decisione di giocare la lotteria possono contribuire una serie di condizioni personali, tra cui il fatto di avere reddito da lavoro autonomo o d’impresa (quindi non soggetto alla dichiarazione da parte un sostituto d’imposta), la soggettiva propensione o percezione del rischio, le condizioni congiunturali, tra cui la temporanea crisi di liquidità dovuta per esempio alla crisi economica.

Tuttavia, non c’è solo la razionalità nelle scelte economiche umane. Chi decide di pagare tutte le imposte dovute può essere spinto dal fatto di attribuire all’onestà, all’adesione alle regole condivise un valore più forte del vantaggio economico. Questo comportamento è solitamente definito dagli economisti “moralità fiscale”. Inoltre, chi decide di pagare tutte le imposte dovute può essere influenzato non solo dal timore delle istituzioni formali (ispettori dell’Agenzia delle Entrate, Guardia di finanza, e via dicendo) ma anche dalla considerazione di quelle informali, come la tendenza a conformarsi al comportamento dei vicini, degli amici, dei parenti, oppure il costo in termini di perdita di reputazione implicito nell’essere scoperto come evasore all’interno della propria comunità di riferimento. (2)

La moralità fiscale delle famiglie

È dunque possibile influenzare l’insieme dei fattori non monetari che determinano le motivazioni intrinseche che spingono a pagare le imposte, ovvero la moralità fiscale, o invece abbiamo a che fare con fenomeni sociali e culturali immodificabili?
Per rispondere alla domanda abbiamo costruito una misura di moralità fiscale per un campione rappresentativo di famiglie italiane che si basa sui dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane per il 2004, utilizzando le reazioni a un insieme di affermazioni, quali ad esempio:

  • “Pagare le tasse è uno dei doveri fondamentali di un cittadino”,
  • “Non pagare le tasse è uno dei peggiori reati che un cittadino possa commettere perché danneggia tutta la collettività”,
  • “È giusto non pagare le tasse se si ritiene che siano ingiuste”,
  •  “Anche se un cittadino ritiene che una tassa sia ingiusta, prima la deve pagare e poi magari può protestare”,
  • “È giusto pagare le tasse perché così si aiutano i più deboli”.

Quindi, controllando per le caratteristiche individuali (tra cui il genere, lo stato occupazionale e la tipologia di redditi percepiti, lo stato civile del contribuente) ci siamo concentrati sull’analisi delle variabili contestuali, focalizzandoci in particolare sulle azioni di contrasto all’evasione. Per farlo, abbiamo combinato i dati dell’Indagine con dati amministrativi concessici della Guardia di finanza relativi al numero totale di controlli, sia su venditori che acquirenti, sull’emissione di ricevute fiscali per acquisti di beni e servizi a livello provinciale. Sono dati che registrano l’attività regolare della Guardia di finanza, senza clamori o particolare risonanza a livello mediatico, e non hanno quindi nulla a che fare con i controlli a sorpresa negli esercizi pubblici di Cortina d’Ampezzo in alta stagione o ai Navigli nelle serate della movida milanese. (3)

Le nostre analisi mostrano che esiste una robusta correlazione positiva tra controlli fiscali e moralità fiscale. In altre parole, a parità di tutte le altre condizioni osservabili, più intensi sono i controlli per contrastare l’evasione, più alta è la moralità fiscale. Abbiamo quindi approfondito l’analisi, mostrando che, oltre alla correlazione, esiste un nesso causale tra contrasto all’evasione e moralità fiscale. Le nostre stime evidenziano che a un incremento della probabilità di controlli fiscali di una deviazione standard, corrisponde un aumento della moralità fiscale media di circa il 10 per cento.

Infine, ci siamo chiesti se esista un effetto differenziato per tipologia di contribuenti e abbiamo trovato che le politiche di contrasto all’evasione hanno un impatto diverso a seconda del livello di moralità fiscale. Ossia, minore il grado di moralità fiscale, maggiore l’impatto dell’accresciuto contrasto all’evasione fiscale. In particolare, l’effetto è almeno del 50 per cento maggiore tra i contribuenti che mostrano meno moralità (decimo percentile) rispetto a quelli che ne mostrano di più (novantesimo percentile).

I risultati del nostro studio consentono di trarre interessanti implicazioni operative. In particolare, dalla ricerca si ricava che una politica attiva di contrasto dell’evasione fiscale ottiene un doppio dividendo: da un lato, poiché aumenta il rischio dell’evasione e la probabilità della sanzione, produce l’effetto diretto di ridurre il vantaggio razionalmente calcolato dell’evasione. Dall’altro, ha l’effetto aggiuntivo e indiretto di aumentare la moralità fiscale e quindi la propensione a pagare le imposte. Cambiare la dimensione culturale dell’evasione fiscale si può, è solo una questione di volontà politica.

(1) Filippin, A., Fiorio, C.V: and Viviano, E. (2013), “The effect of tax enforcement on tax morale”, European Journal of Political Economy, 32, pp. 320-331 (pdf).
(2) Da questo punto di vista, ci pare corretto il suggerimento avanzato il 19 agosto 2012  dall’allora premier Mario Monti di «non usare più l’aggettivo “furbi” nei Tg che descrivono la lotta contro l’evasione. Non si possono trasmettere, neanche in modo subliminale, […] modelli che distruggono la società italiana.»
(3) Come argomentato nel paper (ma non qui per ovvie ragioni di sintesi), siamo consci della possibile endogeneità dell’attività della Guardia di finanza che potrebbe generare un bias negativo dovuto al fatto che dove la moralità fiscale è più bassa, il gettito fiscale è più basso e i controlli maggiori. La nostra strategia di strumentare il livello al tempo t dei controlli della Guardia di finanza con le variazioni di gettito (tax gap Irap) tra il tempo t – 2 e e il tempo t-1 ha l’obiettivo di ridurre l’endogeneità della variabile di controllo della guardia di finanza.

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