Sono convinta che non sia inutile il clamore suscitato dalla vicenda della foto in costume di Paola Bacchiddu, capo ufficio stampa della lista Tsipras.
Certamente inutili, prevedibili, odiosamente ripetitivi sono gli insulti più o meno aggressivi e sessisti che sono stati rivolti a lei direttamente, e indirettamente alle donne della lista, o alle femministe o alle donne tout court da chi ha avuto vita facile per aggiungere un po’ di fiele all’abituale misoginia italiana, che tracima via social network e sugli spazi della rete.
Molte di noi, blogger, femministe, giornaliste e attiviste impegnate sui temi della differenza di genere ne subiamo gli effetti quotidianamente, come conseguenza che tocca chi si espone pubblicamente, scrivendo, facendo formazione, informazione e lavorando da decenni in un paese che via via si è andato impoverendo culturalmente, socialmente e politicamente.
Parte di questa deprivazione ha toccato, e in profondità, anche la sinistra, il sindacato, i movimenti alternativi, lo stesso movimento delle donne, dal momento che il dibattito sull’intreccio tra libertà, responsabilità, autodeterminazione è storicamente iniziato da poco, non è stato condiviso da tutte e tutti, e il ventennio che abbiamo alle spalle ha dato un formidabile contributo all’insabbiamento di una discussione difficile.
Mi voglio soffermare su due aspetti di questa desertificazione: la difficoltà a far passare i contenuti intelligenti in modo intelligente e la scarsa (se non nulla) cultura della condivisione delle decisioni e delle pratiche.
Sia Laura Cima, femminista ed ex parlamentare, che Lorella Zanardo, candidata di pregio della lista Tsipras, ragionano sull’errore di Bacchiddu nell’avere scelto, pur comprendendone i motivi, di esporsi così.
Alessandro Gilioli sul blog dell’Espresso scrive che Paola ha deciso di pubblicare la sua foto in costume da bagno anche perché esasperata dal silenzio dei media: in un mondo dove si bucano video e pagina solo con toni urlati e/o pezzi di carne che si deve fare, dopo averle provate tutte? Posso testimoniare direttamente che è proprio così, e penso che l’errore di Bacchiddu sia stato quello di prendere una decisione del genere da sola.
Come ha scritto Zanardo è difficilissimo giocare con gli stereotipi, e la nudità e l’uso del corpo sono strumenti pericolosissimi, soprattutto per le donne. Altra forza, altra valenza e impatto avrebbe avuto una collettiva denuncia, anche con l’uso del corpo, persino con la nudità totale, se a contestare l’ostilità verso la lista fossero state tante donne e tanti uomini.
Lo scorso anno, con enorme scalpore e visibilità, alcune attiviste antifondamentaliste vicine all’iraniana Maryam Namazie si ritrassero nude in un calendario, protestando contro la sharia e la violenza islamista.
Perché non si è pensato di provare, in modo non drammatico, ma al contrario giocoso e ironico, di chiedere a simpatizzanti maschi e femmine di spogliarsi per la buona causa della lista e della sua visibilità? Non saremmo ora qui a dover difendere una collega dalla volgarità, o a discutere di moralismo, inneggiando alla (presunta) libertà di fare ciò che pare e piace: è ben vero e giusto che si disponga di sé come meglio si crede, ma non sempre questa libertà genera risultati positivi ed è di guadagno collettivo, visto che di politica, e quindi di collettività, si sta parlando.
Difficilmente le buone idee si generano in solitudine: partire da sé, come abbiamo imparato dal femminismo, per andare verso altre e altri, possibilmente insieme, mi parrebbe un buon passo avanti.