La riforma della Pa annunciata dal Governo si basa su tre pilastri: focus sulle persone, riorganizzazione, trasparenza e semplificazione. Dalla revisione delle modalità di selezione del personale al superamento del meccanismo di autovalutazione, ecco dove non si deve sbagliare.
di Giovanni Valotti e Nicola Bellè (lavoce.info, 6 maggio 2014)
Dirigenti da cambiare
Il presidente del Consiglio e il ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione hanno presentato le linee guida per la riforma della pubblica amministrazione. Tre sono i pilastri: focus sulle persone, riorganizzazione, trasparenza e semplificazione. I 44 punti in cui si declinano le proposte (vedi tabella 1) lasciano intravedere la filosofia di fondo dei cambiamenti annunciati, che troveranno concreto sviluppo nei provvedimenti del Consiglio dei ministri del prossimo 13 giugno. Nel mezzo, una procedura aperta di consultazione, che darà occasione a tutti gli interessati di esprimere opinioni e sottoporre al Governo concrete proposte.
Il primo pilastro della riforma, il focus sulle persone, è senz’altro un punto centrale del processo di cambiamento, sia per il suo significato simbolico che per le concrete ricadute operative. (1)
Le proposte avanzate dal Governo in tema di ruolo unico della dirigenza, flessibilità nell’attribuzione degli incarichi, politiche retributive e sentieri di carriera collegati ai meriti e alle competenze, revisione della disciplina della responsabilità e incentivazione della mobilità ci trovano in piena sintonia. Auspichiamo e confidiamo che lo sviluppo di questi principi nei provvedimenti attuativi consenta finalmente di sbloccare un settore prigioniero di rigidità ed eccessivo immobilismo, dando spazio alle persone capaci e competenti, siano esse interne alla Pa o provenienti da altri ambiti del sistema economico, nazionale e internazionale.
Da questo punto di vista, l’età media elevata della dirigenza pubblica rappresenta un’occasione storica. Le nostre analisi sui dati delle amministrazioni centrali (vedi tabella 2 per una sintesi) dimostrano, ad esempio, la concreta possibilità di cambiare il 50 per cento dei dirigenti attualmente in servizio semplicemente gestendo il turnover fisiologico nell’arco di sette-otto anni, tempo destinato ad accorciarsi a fronte di nuove misure, quale l’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, annunciate dal Governo.
Non c’è in questo una valutazione genericamente negativa sulla qualità della dirigenza pubblica, categoria professionale al contrario ricca di tante eccellenze e persone di valore. Semplicemente, è necessario prendere atto che i criteri e le modalità con i quali sono stati selezionati i dirigenti pubblici sono forse coerenti con i fabbisogni del passato, ma difficilmente rispondono alle esigenze del futuro. Sarà di conseguenza fondamentale, non solo per i dirigenti ma per tutti i dipendenti, una radicale riforma delle modalità di selezione. Se concorso pubblico deve essere, al fine di garantire equità e imparzialità, si abbandonino definitivamente le modalità tradizionali di svolgimento dei concorsi, in favore di moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone, non da ultimo tenendo conto dei risultati e dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro. In questa prospettiva, la “staffetta generazionale” caldeggiata dal ministro Madia, se accompagnata da moderne e professionali modalità di selezione, rappresenta una straordinaria, forse irripetibile, opportunità.
Come riorganizzare la Pa
Anche la seconda linea guida delineata dal Governo, quella della riorganizzazione, assume un’importanza fondamentale. L’evoluzione del settore pubblico nel nostro paese, strutturalmente frammentato a partire dagli oltre 8mila comuni, si è caratterizzata per ilproliferare nel tempo di un numero abnorme di enti, agenzie, imprese e istituzioni di diversa natura. Vanità politiche, campanilismi, aggiramento di vincoli posti alle Pa tradizionali, invece che ragioni economiche e di miglioramento della qualità dei servizi, sono spesso state alla base di questo sviluppo. È evidente che ora una razionalizzazione si impone. Sarà importante in questa operazione, tuttavia, la capacità di riconoscere le differenze. Le imprese municipali sono un esempio eclatante: aziende inefficienti e male amministrate si accompagnano a esperienze di grande qualità, che nulla hanno da invidiare alle imprese private e nulla hanno da temere dalla libera competizione. Si adotti quindi, nella logica della riorganizzazione, l’antica saggezza del boscaiolo, tagliando gli alberi malati per rafforzare quelli sani. Non si dimentichi, infine, la necessità di riorganizzare in modo profondo le amministrazioni pubbliche al loro interno. Senza un deciso intervento di de-burocratizzazione, senza un ridisegno puntuale dei processi di lavoro, senza una semplificazione di regole e processi decisionali, senza una più incisiva responsabilità sui risultati da produrre, nessuna riforma può trovare concreta ed efficace attuazione.
Cosa significa trasparenza
Il terzo principio annunciato dal Governo è quello della trasparenza e della semplificazione, associato alla sviluppo delle nuove tecnologie e degli open data. Anche su questo non si può che essere d’accordo, con alcune, importanti, precisazioni.
Innanzitutto è necessario superare una concezione ancora troppo formale dell’idea di trasparenza. La trasparenza che vuole il cittadino e che può servire al miglioramento della Pa riguarda alcune cose molto specifiche: l’uso che si fa delle risorse pubbliche, la capacità di rispettare e attuare i programmi, i livelli di qualità dei servizi erogati, gli impatti finali delle politiche. Difficile trovare informazioni organiche, attendibili e facilmente comprensibili al riguardo su un qualunque sito di una Pa italiana.
In secondo luogo, se vogliamo che la trasparenza rappresenti davvero una forma di pressione per il miglioramento dei risultati, analoga a quella esercitata dalla concorrenza nei contesti di mercato, è fondamentale superare il meccanismo dell’autovalutazione.
Si pensi allora all’introduzione di sistemi di certificazione della performance della Pa da parte di enti davvero indipendenti. Perché non attivare, ad esempio, percorsi di accreditamento basati su assessment periodici a cura di agenzie o soggetti specializzati, operanti a livello nazionale e internazionale, con pubblicazione obbligatoria degli esiti sui siti delle amministrazioni? Sono sistemi per altro diffusi e largamente sperimentati a livello internazionale e già adottati anche dalle migliori università e dai migliori ospedali del nostro paese. A questi si potrebbero collegare sistemi di incentivi per gli enti virtuosi.
Altrimenti, rischieremmo nuovamente di produrre uno sforzo enorme per documentare e giustificare risultati sulla base di semplici autodichiarazioni da parte di chi i risultati è chiamato a produrre e, soprattutto, da parte di chi sui risultati dovrebbe essere valutato. La classica situazione di coloro che “se la suonano e se la cantano”. Ma in questi casi il concerto difficilmente merita i grandi palcoscenici.
(1) Abbiamo già illustrato le nostre proposte in merito alla riforma della dirigenza nell’e-book di Idee per la crescita, I manager pubblici che vogliamo (Rcs-Corriere della Sera, 2014).
Giovanni Valotti. Nato il 18 agosto 1962. Laureato in Economia e commercio presso l’Università di Brescia. Attualmente è Professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso il Dipartimento PAM dell’Universita’ Bocconi.
Nicola Bellè. Ha conseguito il Ph.D. presso l’Università degli Studi di Parma, un M.P.P. con menzione alla University of California, Los Angeles e una Laurea con lode presso l’Università Bocconi. Attualmente è Assistant Professor presso l’Università Bocconi.