E’ finita come era cominciata. Anzi peggio. Nel chiudere il XVII congresso della Cgil, Susanna Camusso ha chiuso tutte le porte in faccia a Maurizio Landini ribadendo che nel sindacato “prima viene la Cgil”, cioè le sue decisioni, “e poi le categorie”, cioè la Fiom. Nessuna sintesi, nessuna mediazione, nessuna concessione ai “pontieri” come Carla Cantone che chiedevano unità e armonia interna. Per Camusso, l’accordo del 10 gennaio “dovrà essere semplicemente applicato”, Landini se ne faccia una ragione. La Cgil è la sede primaria mentre le categorie hanno uno status secondario. Esattamente l’opposto di quanto pensa il segretario Fiom. Il quale però può vantare nel voto finale una vittoria sul campo non da poco. La lista alternativa per il direttivo nazionale, presentata insieme a Nicola Nicolosi e Domenico Moccia, è cresciuta di circa il 30% dei voti. “Eravamo entrati con 110 delegati e abbiamo ottenuto 155 voti” spiega sorridendo il segretario Fiom mentre nel suo entourage si mette l’accento su un altro numero: “La maggioranza poteva basarsi sul 97% dei voti e invece ottiene l’80%”. Nel segreto dell’urna, infatti, una cinquantina di delegati ha premiato l’intransigenza fiommina e ha spostato il proprio voto mentre in 19 si sono astenuti. Con una perdita secca per la lista di Camusso che ottiene in ogni caso un ampio 80%. La minoranza di Landini e Nicolosi sale però dall’11,5 al 17% e quella di Cremaschi risale fino al 3%. La dialettica interna è così rinvigorita, con un 20% di oppositori, emblema di una Cgil spaccata tra due ipotesi di sindacato. E se in mattinata la maggioranza del sindacato poteva contare sull’86% dei consensi. In serata il vantaggio si è ridotto a circa il 70%. L’elezione è arrivata a tarda sera dopo che il congresso era stato sospeso per i continui scontri interni. Ricomposti solo dopo la minaccia di Landini di abbandonare i lavori. Minaccia poi rientrata dopo l’ennesima trattativa. Susanna Camusso è stata rieletta segretario con 105 voti a favore 36 contro e 2 astenuti. Un altro colpo per la leader Cgil visto che le minoranze hanno in direttivo nazionale 29 voti su 151. Al momento del voto erano però presenti solo in 24 segno che ben 14 esponenti della maggioranza hanno voltato le spalle al segretario generale.

La replica del segretario generale è stata in realtà piuttosto dimessa. Se nella relazione Camusso aveva giocato d’attacco, cercando di spezzare l’asse tra l’offensiva di Renzi e l’opposizione di Landini, nelle conclusioni ha concesso molto più spazio alle proposte politiche della Cgil: dal “piano del lavoro”, alla proposta di un “salario minimo europeo”, alla “vertenza sulle pensioni”. Però ha aggiustato il tiro rispetto ad alcuni punti. Nel documento finale, riferendosi al governo, non si parla più di “torsione della democrazia” ma di “un tentativo volto a ridimensionare i soggetti della rappresentanza sociale”. Gli ottanta euro di Renzi, mai citati nell’introduzione al congresso, vengono qui definiti “una prima misura utile” e sul Decreto Poletti non si annuncia nessuna mobilitazione rinviando tutto alla discussione sul Jobs Act.

Quello che Camusso ha precisato è che non ci si può affidare più alla politica, la Cgil deve camminare da sola, facendo iscritti, contrattazione “inclusiva” delle fasce deboli (precari, anziani), nelle aziende e nei territori. Un discorso in chiave interna per dare una direzione di marcia a un’organizzazione disorientata dallo scontro con il Pd e dagli effetti della crisi economica. “Certo che siamo in difficoltà” ha ammesso, “come sempre quando la disoccupazione aumenta”.

Molto più netta invece la replica verso la Fiom e la minoranza. Alla proposta del “codice etico” avanzata da Landini – un modo per affrontare il tema dei costi, delle risorse, degli stipendi interni- si risponde che “la Cgil ha già lo statuto”. Punto. Anche sul tema dei distacchi sindacali avanzato da Renzi si alza una barriera: “Non vorremmo che si affermasse l’idea che se la democrazia costa si può tagliare”. Le accuse di Landini a Bonanni e Angeletti vengono respinte al mittente e si rilancia il rapporto con Cisl e Uil. Si ribadisce, poi, che le decisioni prese a maggioranza devono essere applicate fino a scandire, tra l’applauso della platea, che “prima viene la Cgil e poi le categorie”. Ma a dividere resta l’accordo sulla rappresentanza da applicare senza esitazioni. Quell’intesa, invece, per Landini e compagni è lo spartiacque tra due modelli di sindacato e la Fiom non lo approverà mai.

Dopo le conclusioni si tiene una rapida, e cortese, conferenza stampa: “Parlate di più di quello che la Cgil fa, chiede Camusso, e meno dello scontro tra dirigenti”. In generale, però, il sindacato che esce da questo congresso appare un’organizzazione assediata e che si arrocca in difesa. Camusso definisce questo attacco come prodotto della “politica liquida” contro una struttura di rappresentanza sociale. Non riesce, però, a intraprendere con nettezza la strada dell’innovazione che, pure, ha attraversato il dibattito congressuale. Parlando con i giornalisti, il segretario Cgil si limite a segnalare la giovane età di alcuni dirigenti locali ammettendo l’esistenza di un apparato “mono-generazionale” che sostanzialmente è quello della generazione anni 70. Sono loro oggi a guidare il sindacato, tranne rare eccezioni, costituendo una sorta di “tappo” che molti, nei corridoi, mantenendo l’anonimato, dicono sarebbe meglio far saltare. Il “largo ai giovani” resta quindi un auspicio e nel nuovo direttivo nazionale non ci sono grandi novità. Tra le “innovazioni” che Camusso ha in mente c’è la “limitazione del ruolo del segretario generale” per ostacolare la personalizzazione (e a Landini fischiano le orecchie). Ma poi si scopre che si tratta del ritorno ai “vice-segretari” che esistevano qualche decennio fa, “un modo per moltiplicare ruoli di potere” dicono gli oppositori.

Dal canto suo l’opposizione, che si sente oggi più forte, deve dimostrare di saper convincere i delusi o i malpancisti. Landini è visto da molti come una delle poche risorse che può dare anima e identità alla Cgil. Ma non manca l’insofferenza per la sua intransigenza o per un’eccessiva funzione leaderistica. La sua marcia verso la segreteria generale è solo cominciata ma in questo quadro dirigente non ha chance. Servirebbe almeno uno choc politico o un radicale cambio generazionale. Ma la questione è posta.

Resta una Cgil che rimane una struttura associativa importante che è riuscita a mobilitare al congresso, nelle stime più negative,circa un milione di persone che hanno partecipato, discusso, votato. Un serbatoio di impegno sociale importante con cui, in un modo o nell’altro, Renzi dovrà fare i conti perché si tratta dell’ultima struttura organizzata della sinistra. Nelle sue conclusioni, però, Camusso fa anche un’altra ammissione importante: “Abbiamo scommesso sul cambiamento di governo per rompere la stagione dei tecnici ma non abbiamo visto quello che il voto del 2013 ci ha rivelato, la forza di Grillo e un Berlusconi che non era scomparso”. Per la prima viene esplicitato che la sconfitta di Bersani di un anno fa (lo stesso Bersani che ieri insieme a Gianni Cuperlo, ha visitato il congresso) è stata anche la sconfitta della Cgil. E; in fondo, da quel passaggio il sindacato non si è ancora ripreso.

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