Voleva far fuggire in Libano un ex deputato del Pdl latitante dopo una condanna. Con questa accusa la Direzione antimafia di Reggio Calabria ha arrestato l’ex ministro Claudio Scajola. L’ex coordinatore del Popolo delle Libertà che negli esecutivi di Silvio Berlusconi aveva avuto prima la delega agli Interni e poi allo Sviluppo Economico è stato fermato mentre si trovava in un albergo di Roma. Proprio l’ex Cavaliere, che ha saputo della notizia durante un’intervista in diretta a Radio Capital, si è detto “addolorato”, ma ha anche voluto precisare che la recente esclusione dalle candidature per le elezioni europee non è avvenuta perché “avevamo sentore dell’inchiesta”. L’assenza dell’uomo forte del centrodestra in Liguria era stata a suo modo sorprendente e aveva suscitato polemiche per giorni (lui stesso aveva criticato sia Berlusconi sia Giovanni Toti, capolista nella “sua” circoscrizione del nord ovest) perché pochi mesi fa era stato assolto in primo grado per la vicenda della casa con vista Colosseo pagata dall’imprenditore Diego Anemone “a sua insaputa” (espressione dell’ex ministro ormai divenuta di uso corrente), mentre nelle liste di Forza Italia ci sono anche esponenti condannati in primo grado (come per esempio l’ex ministro Raffaele Fitto). Scajola, che è stato prima portato negli uffici della Dia di Roma e poi nel carcere di Regina Coeli, è stato descritto come “sorpreso e sconvolto”.

Sono 8 i provvedimenti eseguiti dalla Dia calabrese. Tutte hanno a che fare con il sostegno della fuga dell’ex parlamentare del Pdl Amedeo Matacena, imprenditore reggino. Tra le persone colpite da misura cautelare la moglie Chiara Rizzo ed alla madre Raffaella De CarolisMartino Polito – ritenuto il factotum di Matacena – il commercialista Antonio Chillemi, la segretaria di Matacena Maria Grazia Fiordalisi e perfino quella di   anche la segretaria di Scajola Roberta SaccoSono state eseguite numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. 

Matacena è stato condannato in via definitiva a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosaScajola stava cercando di farlo uscire da Dubai (negli Emirati Arabi), dove si trova attualmente, per farlo andare in Libano dove sarebbe stato al sicuro dall’arresto per l’esecuzione della pena. Dopo essere fuggito dall’Italia, infatti, Matacena ha girato alcuni Paesi fino ad arrivare negli Emirati Arabi Uniti dove era stato arrestato dalla polizia locale al suo arrivo all’aeroporto di Dubai su segnalazione delle autorità italiane. Pochi giorni dopo, però, Matacena è tornato in libertà in quanto non è stata completata la procedura di estradizione in Italia. La giurisdizione degli Emirati Arabi, dove non esiste il reato di criminalità organizzata e con i quali l’Italia non ha accordi bilaterali, prevede che i cittadini stranieri in attesa di estradizione non possano essere privati della libertà oltre un certo limite di tempo. Matacena non poteva però lasciare il Paese arabo in quanto privato del passaporto. Per la giustizia italiana è rimasto un latitante. E’ in questa fase, secondo l’accusa, che sarebbe intervenuto Scajola che avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano. Gli altri arrestati, invece, stavano cercando di sistemare dei factotum di Matacena al vertice di alcune società. 

L’inchiesta che ha portato all’arresto di Scajola fa parte di un’indagine molto più ampia, che nell’aprile del 2012 ha portato i magistrati di Reggio Calabria ad indagare anche sull’allora tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito

Scajola, in Forza Italia dal 1996, è stato dunque travolto da una nuova bufera giudiziaria, forse la più pesante. Gli ultimi guai giudiziari li aveva avuti a Roma, con la casa al Colosseo, per la quale però è stato assolto in primo grado. Figlio del fondatore della Democrazia Cristiana a Imperia e legatissimo a Paolo Emilio Taviani, che fu suo padrino di cresima, Scajola divenne sindaco della città a soli 34 anni, il più giovane d’Italia. 

Sfiorato da Mani Pulite e arrestato nel 1983, ne uscì con un proscioglimento. Ministro dell’Interno nel 2001, l’anno del G8 di Genova, si trovò investito in pieno dalle polemiche sulla gestione dell’ordine pubblico. Ma non si dimise per questo: lasciò per una frase infelice su Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse: gli diede del “rompicoglioni“. Scajola rientrò nel governo nel 2003 come ministro dell’Attuazione del programma, e poi nel 2005, alle Attività Produttive. Ma le dimissioni che destarono ancora più clamore furono quelle del 2010, dallo Sviluppo economico, per la vicenda della casa di via del Fagutale, che risultò essere stata comprata in parte da Anemone (“a mia insaputa”, appunto). Pochi mesi fa, per quella inchiesta è arrivata l’assoluzione dai giudici romani in primo grado.

Poi l’inchiesta sul porto di Imperia. Anche qui le accuse sono state archiviate. L’inchiesta parte nel settembre del 2010. L’ipotesi iniziale era di associazione per delinquere. Infine in corso c’è un’altra inchiesta, questa volta relativa a Finmeccanica. I pm ipotizzano il reato di corruzione internazionale in riferimento a un presusunto tentativo di mediazione nell’affare sulle forniture effettuate da Agusta Westland, Selex e Telespazio al governo di Panama nell’ambito di accordi stipulati con lo stato italiano attraverso la società panamense Agafia

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