Luchino Chessa ha scritto al presidente del Consiglio: "Per email e su twitter ma per ora nessuna risposta. Ha declassificato i documenti di Stato sulle stragi impunite, ma ha dimenticato la tragedia di Livorno del 1991 in cui morirono 140 persone"
La politica sembra essersi svegliata sulla vicenda Moby Prince. A 23 anni di distanza dalla strage impunita che costò la vita a 140 persone, morte in attesa di soccorso davanti al porto di Livorno dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo, alcuni segnali sono finalmente arrivati. Sulla spinta del presidente Pietro Grasso, schieratosi sin dal suo insediamento per un’azione di chiarezza sulla vicenda, il disegno di legge per la commissione d’inchiesta promosso dal M5S in Senato è già approdato in commissione. Quello, quasi identico di Sel, è in attesa di assegnazione alla Camera e Nichi Vendola ha scelto proprio l’incontro coi familiari delle vittime come prima tappa della sua visita elettorale a Livorno. Nel frattempo i senatori Silvio Lai e Luigi Manconi (Pd) hanno chiesto un’ispezione alla procura di Livorno per un caso di conflitto d’interesse di un consulente tecnico chiave dell’ultima inchiesta, quella dell’archiviazione.
Per stabilire una maggioranza numerica sicura, mancherebbe solo un via libera: quello del governo. Per questo Luchino Chessa, portavoce tra i più noti dei familiari delle vittime Moby Prince e figlio maggiore del comandante del traghetto Ugo Chessa, insiste con la sua pressione mediatica nei confronti del presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Gli ho scritto via email – dice – con in copia i presidenti delle Camere Laura Boldrini e Pietro Grasso, poi ho cercato di partecipare a #matteorisponde, mandandogli diversi tweet insieme ad altri sostenitori della campagna #iosono141. Ma per ora niente”.
Luchino Chessa, sta chiedendo con insistenza una maggiore attenzione di Renzi. Perché? Teme la mancanza di un suo messaggio?
È Renzi ad averci stimolato con le sue affermazioni sulla declassificazione dei documenti dello Stato relativi alle stragi. Nell’elenco delle stragi impunite ha però dimenticato di mettere il Moby Prince. Per questo mi sembra importante che lui, essendo massima autorità del governo, si ricordi del Moby Prince e se lo ricordi come una “strage” e non un semplice “incidente”. Questa apertura di Renzi significherebbe tanto per noi. Anche ieri Laura Boldrini ha dichiarato che Renzi si è detto favorevole a desecretare i documenti sulla commissione d’inchiesta su Ilaria Alpi. Considerata questa apertura ho insistito perché allargasse il campo fino ad includere la nostra vicenda che, è bene ricordarlo, è la più grande tragedia della marina civile italiana dal Dopoguerra e la più grande strage sul lavoro della storia repubblicana.
Vendola a Livorno ha detto che con questa commissione si potrebbero “turbare alcuni poteri forti”. Dopo 23 anni è davvero ancora così?
Penso di sì. Consideriamo lo scenario della rada di Livorno quella notte: navi militarizzate americane di ritorno dalla Guerra del Golfo, quindi parliamo dei rapporti tra Stati Uniti, Nato e Italia e di chi se ne occupa materialmente; poi una compagnia come la Snam (l’armatore della Agip Abruzzo, ndr), quindi Eni, con tutto ciò che significa anche solo quale forza economica. Per me sono questi i poteri forti. Senza dimenticare quegli uomini dello Stato, lato Capitaneria di Porto, che dovevano gestire i soccorsi al meglio e non l’hanno fatto. Anche a distanza di 23 anni qualcuno, che ha sempre avuto bisogno di vedere sepolta questa storia, potrebbe avere qualche turbamento.
D’accordo, ma se parliamo di profili penali sappiamo bene che il caso giudiziario è chiuso. Quindi che natura di turbamento stiamo evocando?
Senza il dolo non si riapre il penale. Lo sappiamo. Ci sono dei margini a livello civile, ma il turbamento che intendevo io è più reputazionale. Sul piano della verità storica, sul piano civile, potremmo finalmente colpire una rete di rapporti e relazioni tuttora esistente. E questo disturba. L’idea che anche dopo 23 anni questa vicenda, con la sua carica di impunità giuridica e storica, non sia ancora chiusa e possa trovare un finale diverso.
Tra i punti oscuri della vicenda c’è anche quello dei tempi di sopravvivenza. Lei è un medico e un professore universitario (facoltà di scienze mediche). La perizia sul quale si basano i magistrati che hanno archiviato l’inchiesta bis sostiene che la morte di tutti i passeggeri in massimo mezzora, scagionando soprattutto il ritardo dei soccorsi. Questo nonostante rilievi ematici con carbossiemoglobina nel sangue superiore all’80%, un superstite recuperato vivo un’ora e mezzo dopo la collisione e un’autopsia mai eseguita su un corpo integro (quello del passeggero austriaco Gerarld Baldauf). Che idea si è fatto, da medico, del lavoro di quei suoi colleghi? Che spiegazione si è dato?
Lì sinceramente il problema fondamentale fu l’applicazione arbitraria e anomala della formula di Levin. Quindi il ridurre drasticamente i tempi di sopravvivenza anche a fronte di tassi alti di carbossiemoglobina e acido cianidrico nel sangue. Il motivo del perché fu fatta quella scelta non lo so. Certo è un dato inoppugnabile che quella perizia presenti come “straordinario” o “miracoloso” tutto quanto confutasse la tesi della morte rapida. Come nei casi citati cui aggiungerei il corpo di Antonio Rodi, integro alle 7 dell’11 aprile (circa 9 ore dopo la sciagura, ndr) riverso sul ponte e poi carbonizzato un’ora dopo. Forse si può parlare di superficialità. In molti casi abbiamo assistito ad errori incredibili. Come se prima si fossero posti il risultato atteso e poi avessero creato le condizioni per ottenerlo: prima decido che sono morti tutti in mezzora, in linea con lo scenario dato dall’inchiesta sommaria, poi rendo i dati tali da giustificare questo risultato.
Nella sua lettera a Renzi e ai presidenti di Camera e Senato ha insistito sul fatto che la verità sul Moby Prince non sia solo una concessione ai familiari, ma un diritto di tutti i cittadini italiani. Gli italiani a suo parere cosa potrebbero ottenere da questa verità?
Il beneficio è di costume del paese. Cambiare questo costume dove questa e tante altre vicende sono rimaste senza una spiegazione e una verità. La gente si sta dimenticando di ciò che è avvenuto nel passato e dimenticare è un problema democratico. Un lasciarsi alle spalle l’ingiustizia. Può essere definito democratico un paese incapace di assicurare una verità storica precisa su stragi di questa caratura? La sento davvero come cittadino italiano. Un passaggio per una nazione diversa, più democratica.