Nel vortice euroentusiasta e scanzonato dell’Eurovision Song Contest di Copenhagen, c’è già un vincitore annunciato. E anche nel caso in cui non dovesse vincere la competizione canora più grande del mondo, Conchita Wurst, rappresentante dell’Austria, è diventata comunque un fenomeno planetario.
Ieri sera, nel corso della seconda semifinale, l’esibizione di Conchita (che canta la paraculissima Rise like a phoenix) ha letteralmente fatto esplodere l’Arena di Copenhagen. Sono tutti pazzi di lei, insomma. E qui si apre un dilemma: i fan europei amano la sua voce possente o solo il personaggio bizzarro che rompe gli schemi? Nel secondo caso, Conchita Wurst rischierebbe di diventare solo una macchietta, un feticcio per battaglie di retroguardia. Lei stessa, durante la conferenza stampa post semifinale, è stata chiarissima: “Mi sento parte della comunità gay, ovviamente, ma sto ricevendo molto affetto e supporto da ogni tipo di persona”. Il messaggio, nemmeno troppo nascosto, è il seguente: non voglio essere di nicchia, e soprattutto ho bisogno dei voti dell’Est europeo per vincere la finale.
Il tasto dolente per la lanciatissima Wurst è proprio questo: per vincere questa edizione dell’Eurofestival c’è bisogno anche dei voti del blocco ex sovietico. Ma la Russia di Putin e la Bielorussia di Lukashenko, solo per fare due esempi, daranno mai i loro 12 punti a un transgender? Non sarebbe meglio, piuttosto, regalare la vittoria ai talentuosi e rassicuranti olandesi o al caciarone armeno?
Vittoria o meno, Conchita lascerà il segno. La voce c’è, il personaggio pure. E la platea dell’Eurovision, seppure stupidamente snobbata in Italia, rappresenta un trampolino di lancio senza eguali nel mondo musicale.