Per il procuratore generale, merita conferma il verdetto emesso il 25 marzo 2013 dalla Corte d’Appello di Palermo per l'ex senatore siciliano, co-fondatore di Forza Italia
Quasi mille udienze, migliaia di pagine di deposizioni, più di trecento testimoni, due processi d’appello, una sentenza di rinvio della Cassazione e una latitanza lampo in Libano: a vent’anni esatti dall’iscrizione nel registro degli indagati, per Marcello Dell’Utri è arrivato il giorno del giudizio. La Prima sezione penale della Suprema Corte si esprimerà oggi sul caso dell’ex senatore, amico di Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia, il partito capace di vincere l’elezioni politiche del 1994 contro ogni pronostico. All’epoca però le prime rivelazioni dei collaboratori di giustizia erano già agli atti della procura di Palermo, inserite nel fascicolo numero 6031/94, che segna l’inizio della storia giudiziaria di Dell’Utri. Ad accusarlo di contiguità con Cosa Nostra sono diversi pentiti: è lui l’uomo cerniera tra i boss palermitani e Berlusconi, giovane imprenditore milanese bisognoso di protezione e finanziamenti.
Una vicenda complessa quella dell’ex senatore – condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno, poi diventati sette in appello – che approda per la prima volta in Cassazione già il 9 marzo 2012, quando la Suprema Corte certifica i rapporti con Cosa Nostra fino al 1977, chiedendo però un nuovo processo d’appello che provasse adeguatamente il rapporto con la piovra tra il il 1977 e il 1982, periodo in cui l’ex senatore va a lavorare dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda. “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992” ha sottolineato questo pomeriggio il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso, chiedendo alla corte presieduta da Maria Cristina Siotto di confermare la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, inflitta per la seconda volta in appello a Dell’Utri il 25 marzo 2013. La nuova sentenza degli ermellini era prevista originariamente per il 15 aprile scorso, ma era stata rinviata dopo che i legali di Dell’Utri, gli avvocati Massimo Krogh e Giuseppe Di Peri, avevano fatto pervenire alla corte due certificati medici che attestavano la loro impossibilità a seguire l’udienza.
Nel frattempo per l’ex senatore di Forza Italia era già stato spiccato un mandato di cattura dalla corte d’appello di Palermo, messa in allarme dalla Dia su una possibile fuga dell’imputato all’estero. Fuga raccontata dal fratello gemello dell’ex senatore, Alberto Dell’Utri, in una chiacchierata con l’amico Vincenzo Mancuso all’interno del ristorante romano Assunta Madre, mentre le cimici della procura capitolina registravano tutto. E in effetti quando gli ufficiali della Dia sono andati a cercare Dell’Utri per trarlo in arresto, l’ex senatore era già in fuga dall’Italia, a Beirut, in Libano, dove era arrivato con un volo da Parigi. Una latitanza lampo quella dell’ex presidente di Publitalia, dato che gli agenti dell’intelligence libanese sono riusciti a rintracciarlo all’hotel Phoenicia di Beirut già il 12 aprile. Pochi giorni fa il Ministero della Giustizia italiano ha spedito a Beirut tutti gli atti tradotti in francese per ottenere l’estradizione dell’ex senatore. Le autorità libanesi, così come previsto dal trattato che regola i rapporti tra Italia e Libano, hanno tempo fino al 12 maggio per esaminarli e decidere se concedere o meno l’estradizione chiesta da via Arenula. Nel frattempo però sarà già arrivata la sentenza definitiva, che Dell’Utri sta aspettando, mentre è ricoverato in un ospedale di Beirut, guardato a vista dagli agenti della polizia locale. Tre le ipotesi sul tavolo dei giudici della Cassazione: una conferma della condanna, così come chiesto dal sostituto pg, che renderebbe definitiva la pena per Dell’Utri, un annullamento senza rinvio, che restituirebbe immediatamente la libertà all’ex senatore, oppure un nuovo rinvio che ordinerebbe il terzo processo d’appello. “Solo un imprevisto ci può salvare” diceva il diretto interessato, aspettando l’ultimo verdetto di secondo grado. E nel caso di un nuovo rinvio l’imprevisto si chiamerebbe prescrizione, che per Dell’Utri scatta nel luglio 2014.