Senza Nibali, Froome e Wiggins, i favoriti sono Joaquim Rodriguez e Nairo Quintana. Speranze azzurre in Pozzovivo. Si parte da Belfast, si chiude a Trieste dopo 3450 chilometri e 21 tappe
Una partenza inedita (dall’Irlanda) e un arrivo insolito (a Trieste, e non a Milano). Tre cronometro e tanta salita, il mare del Sud (ma non più giù della Puglia) e le montagne del nord (ma anche quelle del centro e degli Appennini). Il Giro d’Italia 2014 parte oggi da Belfast, orfana dei grandi big del ciclismo mondiale. E per questo promette soprattutto d’essere una corsa atipica. Fin dal primo metro. Una cronosquadre, come ormai quasi da tradizione. Ma su suolo straniero (l’Irlanda del Nord, che secondo il Belfast Telegraph avrebbe sborsato fra i 4 e i 5 milioni di euro per aggiudicarsi la Corsa Rosa), e start in notturna (alle 18.50). I primi 21 chilometri dei circa 3.450 totali, per mettere subito qualche secondo di distacco fra gli uomini di classifica. E qui l’elenco è corto e al contempo lunghissimo.
Perché senza un vero favorito quasi tutti possono sperare di vincere la 97esima edizione del Giro. Non ci sarà Vincenzo Nibali, che dopo aver trionfato a mani basse nel 2013 punta a vincere il Tour de France per la consacrazione definitiva. Non ci sarà Chris Froome, vincitore della Grande Boucle 2013, intenzionato a riconfermarsi oltralpe. E neppure Bradley Wiggins, che dopo essersi scottato l’anno scorso sulle aspre pendenze del Giro, difficilmente si rivedrà presto dalle nostre parti. Così le stelle del Giro diventano Joaquim Rodriguez e Nairo Quintana. Lo spagnolo è già andato a podio in tutte e tre le grandi corse a tappe (secondo al Giro 2012, terzo al Tour 2013 e alla Vuelta 2012): a 34 anni (e senza rivali troppo più forti di lui a crono) ha di fronte l’occasione della vita. Il colombiano, invece, è esploso al Tour 2013, dove ha conquistato maglia bianca e a pois (rispettivamente di miglior giovane e miglior scalatore), e il secondo posto finale: di anni ne ha solo in 24, in salita è già uno dei più forti al mondo.
Dovrà battere soprattutto se stesso: l’incostanza dei colombiani e della sua giovane età, la pressione di partire coi gradi del capitano. Anche il percorso, comunque, li favorisce. Tre cronometro per un totale di oltre 90 chilometri di corsa contro il tempo. Ma di cui una cronosquadre e una cronoscalata (sul Monte Grappa). La crono vera è una sola, la 12esima tappa, 42 km da Barbaresco a Barolo (e neppure tutti pianeggianti): farà danni, ma contenibili. Il Giro, come sempre, si vincerà o perderà in salita. Sulle Alpi (ad Oropa alla 14esima tappa, passo che evoca le imprese di Marco Pantani, a cui anche questo Giro dedicherà più d’un pensiero; soprattutto sullo Zoncolan, segnato in rosso sul calendario per il 31 maggio). Ma anche sugli Appennini, con due arrivi in salita anticipati sulla tabella di marcia (all’ottava e nona tappa) che potrebbero cogliere i big impreparati.
Tante montagne, anche dure, ma senza un vero e proprio tappone alpino (quello con 4-5 colli e oltre 200 km, che spacca in due la classifica). Percorsi tendenzialmente brevi, da scattisti più che fondisti. Come Rodriguez, appunto. Ma sono in tanti a cullare sogni di gloria. Cadel Evans a 37 anni è all’ultima chiamata per la maglia rosa che non ha mai agguantato: lotterà fino all’ultimo chilometro. Ci sono anche il colombiano Rigoberto Uran, secondo al Giro 2013, e Ryder Hesjedal, scomparso l’anno scorso dopo la sorprendente vittoria del 2012 (un po’ come il francese Pierre Rollande, protagonista al Tour di due anni fa). O gli irlandesi Daniel Martin (forse però ancora acerbo in salita) e Nicolas Roche. L’Italia, che in questo momento è quasi solo Nibali, senza il siciliano cerca altri leader: Michele Scarponi è l’usato sicuro (sempre nei 5 negli ultimi quattro anni), Ivan Basso pare ormai in parabola troppo discendente. Forse, allora, meglio puntare su una sorpresa: su Domenico Pozzovivo, scalatore “mignon” dalla Lucania, che a 32 anni nonostante il fisico ancora da bambino sembra aver raggiunto la piena maturità. Immaginarlo sul podio a Trieste non è pura utopia. E poi c’è la gioventù di Fabio Aru e Moreno Moser, che sarebbe bello veder sbocciare sulle strade del Giro (ma forse è ancora presto). E l’eterna incognita di Damiano Cunego, promessa troppo precoce e mai più mantenuta dopo la vittoria del 2004. La lista è troppo lunga, il Giro non avrà un padrone designato. Potrebbe essere una corsa apertissima e spettacolare. O anche molto sottotono, cugina povera del Tour. Alla strada e alla salita il verdetto. Come sempre.