Ieri mi sono confrontato (insieme a Salvatore Settis, e con la conduzione di Roberto Napoletano) con il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini, in un dibattito pubblico al Salone del Libro. Nel mio primo intervento ho citato, tra l’altro, la puntata di Servizio Pubblico che ha mostrato come il limite di visitatori imposto agli Uffizi dalla sicurezza sia costantemente violato. Ne ho parlato per far capire perché sia sbagliato consegnare la bigliettazione dei musei ad un concessionario for profit che ha tutto l’interesse a far entrare più gente possibile. Era un esempio in un ragionamento più ampio sulla disastrosa politica delle concessioni a privati dei cosiddetti servizi aggiuntivi dei grandi musei e siti monumentali italiani.
Quando ha preso la parola, il ministro ha detto, tra l’altro, che i dati di Servizio Pubblico sarebbero falsi, perché la fila permanentemente fuori dagli Uffizi dimostrerebbe che esiste un severo controllo delle presenze (quando si dice un argomento!). Appena la parola è tornata a me, mi sono chiesto se avesse senso ribattere su questo punto preciso. Ma ho deciso di rispondere a Franceschini in privato (come ho poi subito fatto), e ho preferito usare invece i pochi minuti che avevo per mostrare che esistono alternative socialmente e culturalmente sostenibili rispetto allo sfruttamento petrolifero dei concessionari. L’ho fatto perché, da telespettatore, trovo terrificanti le discussioni sui dati di fatto, e non mi andava di animarne una. E poi pensavo che la forza incontrovertibile delle immagini di Servizio Pubblico non avesse bisogno di essere difesa a parole.
Ebbene, mi sbagliavo. Già ieri sera, un sito raccontava che «interviene quindi il ministro Dario Franceschini, il quale smentisce in parte l’intervento di Montanari, sottolineando come sia importante sì fare inchiesta e denunciare ciò che non funziona come (in parte) nel caso degli Uffizi, ma anche sottolineare ciò che funziona dal punto di vista culturale in Italia, per dare un messaggio positivo». Lasciamo perdere la retorica del ‘messaggio positivo’ (da addebitare al ministro, non al sito).
Il punto è che Franceschini non ha smentito alcunché. Semplicemente perché non si può smentire l’evidenza. Le due fotografie che pubblico in questo post le ho scattate io, a mesi di distanza: e parlano di una condizione di assedio permanente. Le norme di sicurezza impongono di non superare la compresenza negli Uffizi di 980 persone: invito il ministro Franceschini a non andare agli uffizi di lunedì, giorno di chiusura (lo ha fatto questa settimana), ma ad entrarvi in incognito (o a mandare qualcuno di cui si fidi) nell’ora di punta, e a contare quante persone affollano sale e corridoi.
Arriverà senza fallo a 2000, e oltre. Come è possibile? È possibile perché il conteggio delle persone non si attiva automaticamente col tornello, come sarebbe logico, ma si attiva solo col passaggio manuale di un codice a barre da parte del personale del concessionario. E nessuno monitora il tempo in cui ogni visitatore si trattiene all’interno. Quindi per sapere quanta gente c’è dentro gli Uffizi c’è un solo modo: entrare e contare.
Dovrebbe farlo il ministro Franceschini. Se, come dice, vuole cambiare il disastroso stato presente del patrimonio culturale, il primo passo è affrontare la realtà e non nascondere la polvere sotto il tappeto.
Dovrebbe farlo anche qualche giornalista di «Repubblica», del «Corriere» o magari del «Sole 24 ore»: possibile che nessuno trovi interessante capire se è vero o no che chi visita il più famoso museo italiano lo fa a proprio rischio e pericolo, fuori da ogni norma di sicurezza? Può farlo, infine, ciascuno di voi. E, una volta dentro, magari potete dare anche un’occhiata a qualche quadro. Se prima riuscite a superare l’umido e traspirante muro di corpi che li occultano.
Sia chiaro: nessuno rimpiange gli Uffizi deserti e una fruizione elitaria del patrimonio, ma non ci si venga a dire che questo carnaio da metro nell’ora di punta sarebbe una conquista democratica. È esattamente il contrario: è la negazione del diritto alla cultura. Aggravata dal fatto che chi può, entra agli Uffizi in occasioni esclusive e rarefatte. Solo due categorie di persone possono negare che oggi andare agli Uffizi sia frustrante e quasi umiliante: chi da questa situazione trae profitto o chi non ci entra da decenni.