La Suprema Corte ha accolto la richiesta del procuratore generale: il fondatore di Forza Italia colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Il pg: “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992”. Emesso ordine di carcerazione
Il fondatore di Forza Italia, il primo partito italiano degli ultimi vent’anni, è un amico di Cosa Nostra, frequentatore di boss mafiosi e uomo cerniera tra la piovra e Silvio Berlusconi. Nel giorno in cui l’ex premier inizia a scontare la pena con l’affidamento in prova ai servizi sociali, cadono i condizionali anche su Marcello Dell’Utri, l’amico di una vita, prima piazzato al vertice di Publitalia e poi l’ideatore di Forza Italia: la prima sezione della Corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, accogliendo la richiesta del pg. Il sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio, a seguito della condanna, ha emesso un ordine di carcerazione nei confronti dell’ex senatore e il provvedimento verrà trasmesso al ministero della Giustizia che lo allegherà alla richiesta di estradizione alle autorità libanesi.
Dopo più di quattro ore di camera di consiglio, la corte presieduta da Maria Cristina Siotto ha accolto le richieste del sostituto pg Aurelio Galasso. “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992” aveva detto il pg, chiedendo alla Suprema Corte di applicare il bollo definitivo sulla condanna dell’ex senatore, titolare di un seggio parlamentare tra il 1996 e il 2013. La prima sezione penale della Cassazione (quella storicamente guidata dal giudice Corrado Carnevale, l’ammazzasentenze) ha dunque accertato che per diciotto anni Dell’Utri ha regolato i rapporti tra i boss di Cosa Nostra (prima guidata da Stefano Bontade e poi, dopo la “mattanza”, dai corleonesi di Totò Riina) e Berlusconi, con l’ex premier che negli anni ha elargito enormi somme di denaro ai padrini siciliani.
Dell’Utri si trova in questo momento a Beirut, ricoverato in un ospedale e guardato a vista dagli agenti della polizia locale, dopo che era stato arrestato il 12 aprile scorso, rintracciato dagli agenti dell’intelligence libanese in una suite dell’albergo Phoenicia. Sul suo capo pendeva un mandato d’arresto internazionale dell’Interpol, spiccato dopo che si era dato alla latitanza, proprio alla vigilia della sentenza della Cassazione, originariamente prevista per il 15 aprile, e poi rinviata a causa delle cattive condizioni di salute dei legali dell’ex senatore. Un rinvio che per una sorta di scherzo del destino ha fatto slittare la sentenza definitiva ad una data simbolo: primo giorno di Berlusconi ai servizi sociali e trentaseiesimo anniversario dall’omicidio di Peppino Impastato e di Aldo Moro.
Anche la storia giudiziaria di Dell’Utri comincia in un anno simbolo: è il 1994, data che segna la prima scalata al potere di Forza Italia, quando la procura di Palermo ha già raccolto testimonianze di diversi pentiti, iniziando a indagare sui rapporti tra l’ex senatore, Cosa Nostra e Berlusconi. Rapporti che vedono Dell’Utri fare da intermediario già dal 1974 tra i padrini palermitani e l’amico Silvio, all’epoca giovane imprenditore bisogno di finanziamenti e protezione. È proprio per questo che ad Arcore viene spedito Vittorio Mangano, ufficialmente stalliere di Villa San Martino, in realtà boss della famiglia palermitana di Porta Nuova.
“Un eroe” lo ha sempre definito Dell”Utri, che nel 2004 viene condannato a nove anni di carcere nel processo di primo grado. Condanna scontata fino a sette anni di reclusione nel processo d’appello, che però viene parzialmente annullata dalla prima sentenza della Cassazione il 9 marzo 2012: secondo gli ermellini il ruolo di mediatore di Dell’Utri non era stato totalmente provato negli anni che vanno tra il 1978 e il 1982, periodo in cui l’ex presidente di Publitalia abbandona l’amico Silvio per andare a lavorare dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda. È per questo che il 18 luglio 2012 inizia a Palermo il secondo processo d’appello, che il 25 marzo 2013 condanna nuovamente Dell’Utri a sette anni di carcere. Più di un anno dopo la palla torna nuovamente alla Cassazione che ha reso definitiva la condanna dell’ex senatore. Dopo una maratona giudiziaria lunga vent’anni, dunque è accertato oltre ogni ragionevole dubbio che il braccio destro dell’ex premier è un concorrente esterno di Cosa Nostra. La Suprema Corte non si è espressa per i fatti successivi al 1992, per i quali l’ex senatore era già stato assolto dalla prima sentenza d’appello, poi diventata definitiva dal verdetto degli ermellini del 2012.
Mediatore tra Berlusconi e Cosa Nostra per un ventennio, Dell’Utri viene allontanato dall’organizzazione criminale proprio mentre incarica il politologo Ezio Cartotto di studiare il progetto per un nuovo soggetto politico, che in pochi mesi vincerà a sorpresa le elezioni. “I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica” aveva commentato l’ex senatore dopo la prima sentenza d’appello. Analisi assolutamente condivisibile.
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