Michele Serra si lagna che su Facebook ci sia un avatar, e sfrutti, costui, la sua identità, il suo nome, la sua popolarità. Ma dimentica che il suo nome e cognome sono assai comuni in Italia e che probabilmente un altro Michele Serra esiste e ha tutto il diritto di aprire una pagina su Facebook o in qualche altro social network.
Può anche essere possibile che questo potenziale omonimo abbia velleità letterarie o giornalistiche, e quindi cerchi di imitare il suo omonimo più noto, è umano – troppo umano, sentenzierebbe Friedrich Nietzsche. Poi ci sono le regole (non scritte) del web, che quando fanno comodo sono accettate, quando invece disturbano, sono deprecabili.
Mettiamo il caso che l’avatar non si chiami né Michele né Serra. Ma sappia scrivere, magari anche bene. Che non sia mai stato iscritto al Pci, né abbia mai lavorato all’Unità. Che non sia neppure di sinistra. Che però sappia “farlo”. E’ un mistificatore o un artista? Allarghiamo la prospettiva, mettiamoci nella mente dell’avatar Michele Serra: imita pedissequamente o ha una sua autonomia identitaria, è una sorta di Zelig o è un impostore di talento? Se avesse avuto la possibilità o la raccomandazione giusta per scrivere sulle pagine di un grande giornale e quindi poter disporre di una vasta platea di lettori, sarebbe diventato famoso come il Michele Serra originale, che peraltro rivendica di essere diventato quello che è dopo quarant’anni di sudato mestiere? Il problema è complesso, riguarda la manipolazione del lettore e l’attendibilità del web. È una questione scivolosa, un tema ambiguo. In fondo, quello della libertà e dell’autenticità.