Ha conosciuto la polvere e ha toccato la luna, Javier Zanetti. Senza mai spettinarsi. Dritto come quella riga tirata per farsi il ciuffo. Mai una sbandata, una parola fuori posto. Commenti pacati, parole misurate e corse imprendibili bruciando l’erba di San Siro. Per anni in quelle zigzagate ho pensato volesse sfogare la frustrazione delle vittorie che non arrivavano. Via, veloce come il vento, sempre uguale, come se cercasse con l’ennesimo scatto, attraverso la serpentina imprendibile, di lasciarsi alle spalle non solo gli avversari ma anche le occasioni sprecate. 

Avevo 8 anni quando Javier Zanetti fu presentato alla stampa sulla terrazza Martini. Una vita fa. Oggi si chiude un’era, con la sgroppata finale di Pupi sull’erba di San Siro. Che lo stadio si riempia per la prima volta in stagione grazie alla sua ultima partita, la dice lunga su che Inter lascia il capitano di mille battaglie. Forse peggiore di quella che trovò in quel giugno 1995, quando con lui fu arrivò Sebastian Rambert. E tra i due l’asso era considerato Rambert: Zanetti faceva parte del “pacchetto” per portare l’Avioncito a Milano, da dove se ne sarebbe andato appena sei mesi dopo.

La storia ha chiarito chi tra i due era quello buono. Uno dei primi errori di valutazione dell’era Moratti che racconta, una volta di più, quanto amore ha messo Zanetti nel restare all’Inter per 19 anni, nonostante la lunga notte nerazzurra rischiarata solo da Calciopoli.

Se ne va con 16 trofei in bacheca e la soddisfazione d’aver alzato lui la Champions League a Madrid, nella notte che ha riscattato tutto. L’eliminazione con l’Helsingborg, il 5 maggio, il contatto Ronaldo-Iuliano, la corrida di Valencia, i derby persi con punteggio tennistico. 

Zanetti ha vissuto e continuato a correre più veloce delle sconfitte. Ha dribblato tutte le difficoltà e ha attesola Gioia, convinto che sarebbe arrivata con l’Inter. Era scritto su quella sciarpa che gli misero in mano il giorno della presentazione: “Esserci da protagonisti”. E allora lui ha steso, da buon tractor, la tristezza e pianto di felicità al Bernabeu, quando, corri oggi e corri domani, aveva ormai seminato le disfatte del passato. 

Oggi indossa per l’ultima volta la sua seconda pelle nella sua casa. San Siro è pieno per lo scatto finale di una corsa lunga 19 stagioni.

I capelli saranno i soliti. È l’Inter che da stasera non sarà più la stessa. 

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