Cultura

“L’Africa non esiste”, racconto di cinque viaggi di Gianni Biondillo

Al seguito di diverse Ong in altrettanti Paesi: Eritrea, Ciad, Egitto, Uganda ed Etiopia l’autore dei fortunati gialli diventa un viaggiatore. Naturalmente conscio di non poter raccontare e tantomeno spiegare un continente tanto vasto e complesso, lo scrittore guarda con occhio scevro da pregiudizi e propone il suo punto di vista la sua idea di continente nero

di Valeria Gandus

Scordate i tramonti mozzafiato e gli occhi dei bimbi, gli animali selvaggi e le capanne di fango. Preparatevi, invece, alle architetture ardite dell’Asmara, al cinema all’aperto dei rifugiati del Ciad, alla versione eritrea di X Factor. Ma anche alla storia tragica di Nighty e Geoffrey: lei bimba rapita e poi sposa bambina di lui, soldato bambino in Uganda.

Questo e molto altro troverete nell’ultimo libro di Gianni Biondillo, L’Africa non esiste (Guanda), racconto di cinque viaggi al seguito di diverse Ong in altrettanti Paesi: Eritrea, Ciad, Egitto, Uganda ed Etiopia. L’autore dei fortunati gialli che hanno per protagonista il commissario Ferraro (da Con la morte nel cuore a Cronaca di un suicidio), l’architetto (Metropoli per principianti), il padre (Manuale di sopravvivenza del padre contemporaneo) è diventato un viaggiatore. Naturalmente “alla Biondillo”: conscio di non poter raccontare e tantomeno spiegare un continente tanto vasto e complesso, lo scrittore guarda con occhio scevro da pregiudizi e propone il suo punto di vista, la sua idea di Africa.

Il risultato è un collage di luoghi e storie fuori dal comune ma anche da ogni luogo comune. Solo lui, per dire, può trovare in Asmara, città coloniale fondata in epoca sabauda e cresciuta in era fascista, “uno stile, quello umbertino, talmente eclettico da riuscire, quasi, a far credere, senza pudori, che davvero qui, e da sempre, il segno della civiltà italica s’era fatto carne. Ad essere precisi, il segno della civiltà padana”. Solo a lui può capitare di passeggiare sulla Harnet Avenue (già viale Mussolini) e provare la straniante sensazione di trovarsi a un passo da piazzale Loreto (Milano), di fronte alla chiesa del Redentore, dove va a catechismo sua figlia. È un’Eritrea che parla dell’Italia, e non solo nell’architettura, quella che Biondillo incontra nel suo viaggio: parla, per esempio, della povera gente che qui vi si era trasferita in cerca di fortuna. “Migliaia di disgraziati che qui potevano rifarsi una vita. Insomma: i disoccupati italiani andavano lì a rubare il lavoro agli eritrei”.

Passano gli anni e cambiano i colonizzatori: in molta parte dell’Africa, oggi, i nuovi invasori parlano cinese. Il Ciad non fa eccezione: sono cinesi i più sterminati campi di riso e i migliori ristoranti. Ma neri gli uomini che li coltivano (i campi) e che servono involtini primavera e pollo alle mandorle in locali dai nomi improbabili come Chez Wou. Il tutto in un paese giovane, a maggioranza islamica ma non islamista, che Biondillo descrive così: “Un misto fra preistoria e modernità, dove le strade sembrano sentieri neolitici ma tutti hanno il cellulare in tasca”.

Lo stesso sguardo, curioso e attento ai particolari apparentemente minori, percorre l’Egitto post primavera cairota, l’Uganda con il suo recente passato di inaudite violenze e un presente di cauta speranza, l’Etiopia con i suoi pastori nomadi ma anche con le statue di Bob Marley nel centro di Addis Abeba.

Alla fine, ancora due viaggi, ma fatti solo con la fantasia: nel deserto del Sahara e nel cuore del Mali. Una sorta di bonus dell’immaginazione: “Ogni scrittore sa che viaggiare è innanzitutto una predisposizione dell’animo. Si può fare anche contemplando una fotografia, rimuginando sulle pagine di un libro, soffermandosi sulle immagini di un film. Ci sono viaggi che non ho ancora fatto fisicamente ma che già appartengono alla mia esperienza, come i due raccolti qui, Auspicio e già memoria. Ritorno al futuro”.

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