Lo chiama affettuosamente “Lucho”, come si fa con un vecchio amico. Si conoscono da molti anni ormai. Lui è Pino Cacucci, uno dei più conosciuti e apprezzati scrittori italiani in Sud America, l’altro è Luis Sepúlveda, una leggenda vivente della letteratura Latino-Americana, il “cileno errante” come lo ha ribattezzato lo stesso Cacucci in un suo racconto. Autore di classici che hanno segnato un’epoca come Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e La storia della gabbanella e del gatto che le insegnò a volare, ma anche un intellettuale con una vita molto tumultuosa alle spalle, guardia del corpo di Salvador Allende, prigioniero dopo il golpe del generale Pinochet costretto a rimanere in una cella troppo angusta per poter stare in piedi o sdraiarsi, poi combattente in Nicaragua con i sandinisti, per poi rimanere anni nella foresta Amazzonica con gli indigeni della shuar…Domenica 11 maggio Sepúlveda sarà al Salone del Libro di Torino, e i due autori si rincontreranno per la prima giornata di Scrittura Festival a Ravenna il 13 maggio.

Come mai secondo lei, uno scrittore con una vita così movimentata non ha mai scritto una auto biografia?
Perché non ne aveva bisogno. In ogni suo romanzo c’è una parte della sua vita, trasfigurata certo, ma descritta con una scrittura viva in un modo che solo chi ha vissuto e respirato quei momenti può rendere. Inoltre Sepúlveda pubblica moltissimi articoli su giornali di tutto il mondo che messi assieme ricostruiscono molti dei momenti della sua vita. Continua a vivere e raccontare tutto questo.

Quando è stata la prima volta che ha incontrato Sepúlveda?
Ci conosciamo da molto tempo, non ricordo… forse nelle Asturie per la Semana Negra de Gjiòn (un importante festival letterario spagnolo), poi ci siamo incontrati molte volte assieme anche ad altri autori come Paco Taibo.

Qual è stato il momento più intenso di questa amicizia a distanza?
Ogni volta che ci vediamo è speciale con lui. A casa sua abbiamo passato lunghe nottate a bere vino, Lucho è un grande grigliatore di carne! D’altra parte è cileno! C’è una grande competizione tra argentini e cileni per chi griglia meglio! In quelle lunghe serate abbiamo parlato fino al sorgere dell’alba senza nemmeno accorgercene.

Da questi incontri è nato anche il tuo racconto Il cileno errante, contenuto nel libro Camminando pubblicato nel 1998 da Feltrinelli, qual è stata la domanda più difficile da fargli?
La più difficile da affrontare è stata la parte sulla prigionia e le torture che ha subito. Gli scrissi “Come devo raccontare quel periodo?” e lui mi rispose con una lunga lettera su quei terribili mesi che si concludeva così “Maledetto Pino! Il tuo racconto è diventato una seduta di psicoanalisi!” Gli avevo fatto scrivere cose di cui non aveva mai voluta parlare, ma gli è servito per “buttare il diavolo fuori”. In questo nuovo libro Un’idea di felicità scritto da Sepúlveda con Carlo Pettini, uscito in questi giorni ed edito da Guanda, racconta cosa è per lui la felicità. Ti ritrovi nel suo nel suo elogio alla lentezza e alla tranquillità? Questo è esattamente quello che è lui. Cerca di fermare il tempo, di non avere assilli. Non ricordo di averlo mai visto al cellulare… Non è schiavo di nulla. Dice che più corri e più velocemente arrivi alla tomba, più corri e più ti lanci nell’abisso. Lucho vive i piccoli momenti quotidiani, non ha mai fretta e mette sempre gli amici davanti al lavoro. In questo è molto sudamenticano, ma soprattutto è molto Lucho. Le cose semplici che dice non sono facili da mettere in pratica però… Credo sia davvero la giusta dimensione della felicità.

Credi che il periodo vissuto nella foreste amazzonica abbia influito nel creare questa visione del mondo?
Sicuramente si è immerso in una dimensione che non conosceva. Alcuni vedono il Sudamenrica come un unico mondo, ma non è così. Lui veniva da Santiago del Cile, una grande e trafficata città, e la vita lo ha portato a trovare rifugio con gli indios nella foresta selvaggia, un mondo lontanissimo anche per lui. Ha osservato i mille dettagli del vivere in quella dimensione, di respirare quell’aria. Non pensava di scrivere di quello, era arrivato lì sballotato dalla vita. Leggendo questo libro mi è tornata alla mente una frase di Fernanda Pivano che sentii ormai quasi quaranta anni fa. Stava parlando di Hemingway, quando si era ritirato a vivere a Cuba. La Pivano diceva che “si muoveva con i gesti lenti di chi ha capito l’inutilità della fretta”. Ecco credo che Luis Sepúlveda sia così, si muove con i gesti lenti di chi ha capito l’inutilità della fretta. 

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