Questa l'ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, non condivisa però dal gip che ha rigettato per l'ex ministro la richiesta aggravante dell’avere favorito le cosche. Sequestrata in casa del politico ligure una missiva firmata dall'ex presidente libanese: "Caro Claudio, lo portiamo in Libano". Il Questore di Imperia avvia un'indagine sull'uso improprio della scorta usata, secondo l'accusa, per favorire la latitanza
“Condotte dirette a interferire su funzioni sovrane quali la potestà di concedere l’estradizione“. Con queste parole i pm della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria contestano a Claudio Scajola e agli altri sette arrestati lo scorso 8 maggio insieme all’ex ministro, a Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, la messa in atto di comportamenti volti a impedire l’estradizione dell’ex deputato condannato a cinque anni per concorso esterno in associazione mafiosa Amedeo Matacena.
L’accusa è stata ipotizzata nel decreto di perquisizione emesso dalla Dda ed eseguito contestualmente agli arresti e si riferisce alla presunta attività svolta da Scajola e da altri indagati al fine di far trasferire Matacena da Dubai, dove si trova attualmente libero ma privato del passaporto, in Libano, Paese ritenuto più sicuro per evitare l’estradizione. Un progetto che, secondo l’accusa, emerge dalle conversazioni telefoniche intercettate tra Scajola e, tra gli altri, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo. Conversazioni nel corso delle quali il Paese mediorientale ricorre più volte, citato espressamente o con la sola iniziale. In una telefonata Scajola riferisce anche alla Rizzo di avere contatti con un “ministro in carica in quello Stato” che per gli inquirenti è, appunto, il Libano.
Secondo l’accusa, gli indagati “prendono parte a una associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio mafioso in campo nazionale e internazionale“. Nello specifico avrebbero fatto in modo di interferire sulle funzioni sovrane di altri Stati per proteggere la latitanza di Matacena, “decisivo concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina” che svolge un “rilevantissimo ruolo politico e imprenditoriale a favore” della stessa ‘ndrangheta, “interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dal predetto garantite a livello regionale, nazionale ed internazionale”.
Dda: “Scajola proiezione degli accordi di Matacena”. Il Gip: “Mancano indizi”– Claudio Scajola era stato individuato da Amedeo Matacena quale “interlocutore politico” delle cosche di ‘ndrangheta “a operare su sua indicazione”. È la convinzione dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, anche se al momento, sul punto, hanno ricevuto lo stop del gip che ha respinto la richiesta di contestare l’aggravante mafiosa all’ex ministro e agli altri sette arrestati. Una decisione sulla quale la Dda intende dare battaglia, tanto che i pm hanno già predisposto il ricorso da presentare al tribunale del riesame. Nell’ordinanza i magistrati ricostruiscono i rapporti tra Scajola e Matacena. Secondo l’accusa, dopo la sentenza di condanna, Matacena, del quale viene evidenziata “la stretta commistione tra l’attività politica e quella imprenditoriale volta sia al proprio interesse che in favore delle cosche”, si trova costretto a scindere i due aspetti. Ed è in questo contesto che l’ex deputato individuerebbe “l’interlocutore politico destinato a operare su sua indicazione in Scajola, interessato alla candidatura per le elezioni europee, come risulta da alcune conversazioni con la moglie e con Chiara Rizzo, peraltro poi escluso dai vertici del partito con il conseguente naufragare di tale golosa prospettiva”. Una prospettiva che Scajola attendeva, al pari della probabile elezione. E che gli sarebbe servita, tra l’altro, a poter dare, col proprio stipendio, 15.500 euro a Chiara Rizzo, che è la moglie di Matacena, per l’anticipo di una casa in affitto a Montecarlo. Una circostanza emersa dalla sintesi di una telefonata intercettata dalla Dia il 4 aprile 2014 e che è agli atti del procedimento. D’altra parte, come dichiara la moglie dell’ex ministro, Maria Teresa, uscita dal silenzio che si era imposta dal giorno dell’arresto del marito, “Claudio Scajola è un galantuomo, con una grande testa e un grande cuore“.
Per i pm, invece, Scajola “rappresenta la proiezione degli accordi e degli impegni assunti dal Matacena”. Ma per il gip “manca un supporto indiziario idoneo a superare il mero dato congetturale”. Una questione sulla quale dovrà pronunciarsi il riesame e, eventualmente, la Cassazione, alla quale i pm sono intenzionati a rivolgersi nel caso in cui dovesse andare male l’appello. Perché i magistrati, e con loro gli investigatori della Dia, sono convinti che Scajola, gli altri arrestati ed anche Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, siano componenti di “un’associazione per delinquere segreta collegata alla ‘ndrangheta”. Tant’è che tutti e nove sono indagati, come si evince dal decreto di perquisizione eseguito dalla Dia contestualmente agli arresti, per associazione a delinque e associazione mafiosa.
Sviluppi nell’inchiesta potranno venire anche dall’esame del materiale sequestrato che dovrebbe arrivare a Reggio a metà della prossima settimana. Tra le tante carte, ce n’è una, in particolare, che i magistrati vogliono leggere. Si tratta di una lettera scritta in francese al computer indirizzata al “mio caro Claudio” e che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata siglata dall’ex presidente libanese Amin Gemayel. Nella missiva si legge, tra l’altro, che “la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente a Dubai” e che “troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli Emirati Arabi e farla arrivare in Libano”.
E proprio dagli Emirati Arabi Matacena è tornato oggi a fare sentire la sua voce con una intervista a Sky. L’ex deputato ha detto di avere scelto la fuga per aspettare in libertà la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo. Una scelta che gli è costata il divorzio dalla moglie, visto, ha spiegato, che “non voleva che andassi via”. Matacena ha anche colto l’occasione per dire che “al sud hanno usato il concorso esterno per colpire Forza Italia, che aveva una forza notevole”. E per domani sera è atteso il rientro in Italia di Chiara Rizzo che, ha annunciato, torna spontaneamente per mettersi a “disposizione della giustizia”.
Scajpla su Viber e Skype con la moglie di Matacena – Erano davvero molto intensi i dialoghi e le telefonate tra Claudio Scajola e la moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, tanto che l’ex ministro ha chiamato la donna anche il giorno del suo compleanno. Scajola e Rizzo usavano un linguaggio criptico, ma alla fine il tema delle conversazioni era sempre la ricerca spasmodica di una soluzione alla latitanza di Matacena ed al modo per fargli lasciare gli Emirati Arabi e raggiungere il Libano, da dove non ci sarebbe stata alcuna possibilità di essere estradato in Italia.
Ma tra Scajola e Rizzo non ci sono stati solamente incontri e telefonate. I due avrebbero avuto contatti anche tramite moderni strumenti di comunicazione come Skype e Viber in modo da evitare, secondo il giudice di Reggio Calabria, eventuali intercettazioni. Scajola, proprio per la sua esperienza di ministro dell’Interno, sa bene che, in caso di indagini, le telefonate sono le prime ad essere controllate e in una conversazione non esita ad affermare che i “telefoni cellulari per me sono da esaurimento nervoso! Che strumento del cazzo…”.
Ma non è solamente l’ex ministro a occuparsi della latitanza di Amedeo Matacena. Il giudice di Reggio Calabria, infatti, ritiene che ci fosse un “gruppo di ‘amici’ che lavorava per evitare che l’imprenditore reggino scontasse la condanna” a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Nelle numerose conversazioni la moglie di Matacena è sempre molto attenta a non fare mai esplicito riferimento al marito.
Le conversazioni tra Scajola e la Rizzo spesso sono “schermate – afferma il giudice – allusive ed indirette, nel tentativo di non fare comprendere, nell’ipotesi di ‘intrusionè, chi è il soggetto a cui si riferiscono nei loro dialoghi, alludendo ad esempio in un caso al figlio della Rizzo, ma in realtà riferendosi ad Amedeo Matacena”. A dimostrazione di come ci fosse un linguaggio con frasi “allusive” il giudice riporta una conversazione nella quale l’ex ministro, parlando con la Rizzo, afferma che “Beirut è una grande Montecarlo, grandissima Montecarlo. Anche Dubai è una grande Montecarlo, tanto per essere chiari”.
Il Questore di Imperia avvia indagine su uso della scorta – Già dalle prime ore del 15 gennaio scorso, giorno del compleanno di Scajola, gli investigatori della Dia di Reggio Calabria hanno registrato numerosi e frenetici contatti telefonici tra l’ex ministro, la sua segretaria Roberta Sacco, Chiara Rizzo e il personale di scorta dell’esponente politico. I contatti erano finalizzati proprio ad organizzare un incontro che la moglie di Matacena doveva avere, con altre persone, nel comune di Bernareggio (Monza). Alla domanda a cosa servissero i frenetici contatti anche con il personale di scorta di Scajola, risponde il giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Olga Tarzia, secondo cui “erano parte attiva e determinante per garantire agevoli spostamenti nel territorio italiano della moglie di Matacena”. E su questo fronte il questore di Imperia, Pasquale Zazzaro, ha dato “formale incarico al vicario di eseguire un’ispezione per verificare se vi sia stato un uso non corretto della scorta e la regolarità delle relative procedure amministrative”.