Se fosse accaduto altrove, avrebbe strappato le prime pagine dei giornali e dei tg di tutto il mondo per almeno un mese”. Era l’incipit del mio ultimo post in cui tentavo di spiegare perché l’Islam non c’entrasse col rapimento delle 200 studentesse in Nigeria. Poi l’attivista pakistana Malala Yousafzai, la più giovane mai candidata al Premio Nobel per la pace, ha lanciato la campagna #BringBackOurGirls per chiedere a Boko Haramdi riportare a casa le ragazze e qualcosa ha cominciato a muoversi.
Nel giro di poche ore Malala ha ricevuto l’endorsement di Michelle Obama, e quindi a catena un centinaio di artisti e personaggi politici (David Cameron, Angelina Jolie, Sean Penn, Justin Timberlake; in Italia Noemi, la Bresso, Zingaretti e il Papa) si sono uniti al coro dei perbenisti per mettersi in pace con il loro dio.
Our prayers are with the missing Nigerian girls and their families. It’s time to #BringBackOurGirls. -mo pic.twitter.com/glDKDotJRt
— The First Lady (@FLOTUS) 7 Maggio 2014
Dubito fortemente che Abubakar Shekau, un uomo capace di pronunciarsi in questo modo: “Mi piace uccidere chiunque Allah mi ordini di uccidere, allo stesso modo in cui mi piace uccidere le galline“, si lasci commuovere dalle centinaia di foto che in questi giorni spopolano sul web. Men che meno se in quelle immagini si ritrae alla perfezione il peccato occidentale: giovani fanciulle in posa con in mano un foglio di carta che riporta l’hashtag della campagna. Un selfie per la vita. Un armistizio con la propria coscienza. Il tempo di uno scatto per ricordarsi di saper amare.
Ma chi? La Nigeria è un paese dimenticato dal mondo. Il sequestro di quelle studentesse è un dramma senza precedenti, non è mia intenzione mettere in discussione la gravità del fatto. Malala è da sempre nota per il suo impegno nell’affermazione dei diritti civili e dell’istruzione, bandito tra l’altro da un editto dei talebani che il 9 ottobre 2012 gli hanno sparato alla testa e al collo mentre si trovava sul solito pullman scolastico che ogni giorno la riaccompagnava a casa al termine delle lezioni.
Per questo la sua iniziativa ha un senso, anche nobile. Il senso non ce l’ha quel pensatoio di moralisti che si ricordano di un Paese passando il tempo su Twitter. Boko Haram nella notte tra il 24 e il 25 febbraio ha massacrato e bruciato i corpi di 59 studenti di una scuola secondaria a Buni Yadi. Nei primi due fine settimana di aprile ha ucciso 139 persone sferrando due attacchi dinamitardi nel cuore di Abuja, spingendosi così per la prima volta fino alla capitale. Secondo le stime dell’Afp, dal 2002 la setta ultra-radicale avrebbe provocato 10 mila vittime.
La cara Michelle però scende in campo per le ragazze e lo fa, guarda caso, a pochissimi giorni dalla Festa della mamma, a più di una settimana dal sequestro e scippando persino lo spazio dedicato al marito nel consueto messaggio del sabato. Più che un appello alla liberazione delle studentesse mi è sembrata una “boldrinata” bella e buona a cui l’Occidente, non stupisce, ha aderito in pompa magna.