La scienziata Fabiola Gianotti, al fattoquotidiano.it, parla del futuro del Centro europeo per la ricerca nucleare, della cattura del bosone di Higgs e delle altre particelle nel mirino. "Purtroppo gli scarsi fondi e il precariato, una delle piaghe del nostro sistema, penalizzano soprattutto i giovani, spingendoli ad abbandonare la ricerca o emigrare all’estero. Non sostenere la ricerca significa tradire l’essenza stessa della natura umana"
Festeggia i suoi primi 60 anni di attività riprogettando il proprio futuro. Più di mezzo secolo di scoperte, che hanno permesso di estendere i confini della conoscenza sulla natura più intima della materia e sui primi vagiti dell’universo. L’ultima, che ha fatto il giro del mondo, la cattura dell’inafferrabile bosone di Higgs, premiata lo scorso anno con il Nobel per la fisica. Protagonista di questo traguardo uno dei centri di ricerca più importanti del mondo, il Cern, Centro europeo per la ricerca nucleare di Ginevra. Una sorta di Nazioni Unite della scienza. Un luogo in cui si possono ascoltare molte lingue e dove si confrontano ogni giorno circa 10mila studiosi di più di 100 Paesi, la maggior parte giovani menti. Fanno funzionare Lhc (Large hadron collider) e i suoi esperimenti. Si tratta dell’acceleratore di particelle più potente del mondo, una pista magnetica di 27 chilometri di lunghezza in cui, a 100 metri di profondità, si scontrano particelle spinte a velocità prossime a quella della luce. In questi mesi Lhc è in manutenzione, in attesa della sua riaccensione, il prossimo anno, alla massima energia. Il grande collisore di protoni ginevrino non è giunto ancora a metà del suo lavoro che, intanto, al Cern si discute già del suo pensionamento e dei possibili successori.
Abbiamo chiesto di raccontarci quali sfide attendono gli scienziati dopo Lhc e quali scenari si aprono nella fisica fondamentale in seguito alla scoperta della cosiddetta “particella di Dio” a Fabiola Gianotti. Inclusa nel 2012 dalla rivista Time fra le cinque personalità dell’anno, la studiosa italiana è stata da pochi mesi nominata tra i 26 scienziati del Comitato scientifico consultivo delle Nazioni Unite voluto dal Segretario generale Ban Ki-moon, dopo aver coordinato per anni il gruppo di 3000 scienziati di ATLAS, uno dei due esperimenti, grandi come cattedrali, che hanno permesso d’imbrigliare la particella di Higgs.
Molti fisici considerano la scoperta del bosone di Higgs, senza volerla per questo in alcun modo sminuire, una sorta di minimo sindacale per Lhc. Come avere appena intravisto “La coda di un dinosauro”. Cosa potrà raccontarci Lhc, quando verrà riacceso, sull’origine e il destino dell’universo?
La scoperta del bosone di Higgs rappresenta un passo avanti gigantesco nella conoscenza della fisica fondamentale perché ci permette di spiegare l’origine delle masse delle particelle elementari, fra cui gli elettroni e i quark, i componenti fondamentali dell’atomo. Se gli elettroni e i quark non avessero massa, l’atomo non potrebbe esistere come sistema legato e stabile, e senza atomi non ci sarebbero gli elementi chimici e quindi la materia come la conosciamo. Noi stessi e l’universo non esisteremmo o avremmo forme completamente differenti. Il bosone di Higgs è quindi una particella chiave per spiegare la struttura dell’universo e la nostra stessa esistenza.
L’Lhc è stato costruito per affrontare questioni aperte nella nostra comprensione della fisica fondamentale. La scoperta del bosone di Higgs ci ha permesso di far luce su uno dei misteri che ci hanno accompagnato per decenni, l’origine delle masse delle particelle. Ma ne esistono altri, fra cui l’asimmetria fra materia e antimateria, la composizione della materia oscura che costituisce circa il 23% dell’universo e l’esistenza o meno di altre forze. Sappiamo che le risposte a queste domande richiedono nuova fisica (nuovi fenomeni, nuove particelle), che speriamo di poter osservare quando riaccenderemo l’Lhc nella primavera del 2015 e potremo operare ad energie più alte.
Rolf Heuer, direttore generale del Cern, ha di recente affermato che “Ci son voluti 50 anni per capire appena il 5% dell’universo, quello a noi visibile”. Per comporre il puzzle dell’universo i fisici ipotizzano, in base a una teoria molto accreditata battezzata supersimmetria, l’esistenza di uno zoo di particelle ancora ignote. Può spiegarci di che si tratta?
La supersimmetria è una delle teorie di nuova fisica sviluppate negli ultimi decenni. Una gran parte del suo successo è dovuta al fatto che questa teoria permetterebbe di risolvere numerose questioni aperte, ad esempio perché il bosone di Higgs è leggero e la composizione della materia oscura. Infatti, fra le nuove particelle previste dalla supersimmetria ne esiste una che ha tutte le caratteristiche richieste per essere la particella di cui è fatta la materia oscura. Se la supersimmetria esistesse e fosse accessibile alle energie che l’Lhc ha cominciato ad esplorare, dovremmo essere in grado di scoprire le particelle supersimmetriche nei prossimi anni, quando l’Lhc opererà all’energia di progetto e alla massima intensità dei fasci di protoni. E sarebbe un trionfo per la ricerca, in particolare la ricerca europea, se riuscissimo a produrre, in un acceleratore sotterraneo a cavallo fra la Svizzera e la Francia, la particella che spiega circa il 25% della composizione dell’universo.
Le due principali architravi della fisica moderna che ci permettono di capire la realtà intorno a noi, la meccanica quantistica e la relatività generale, ragionano su scale diverse e spesso confliggenti. Quanto è vicino il sogno, a lungo accarezzato da Einstein, di una cosiddetta “Teoria del tutto” che possa metterle d’accordo? Quali sono al momento le teorie più accreditate e quale contributo potrà dare Lhc, o il suo successore, in questa direzione?
Il sogno di una Teoria del tutto è ancora lontano, anche se abbiamo indicazioni che ad altissime energie le forze fondamentali tendano a unificarsi, e che a quelle energie trovino spiegazioni alcune osservazioni sperimentali che abbiamo difficoltà a interpretare in modo coerente. Il problema di come conciliare meccanica quantistica e relatività generale rimane un interrogativo centrale della fisica moderna. La teoria delle stringhe offre una soluzione, ma purtroppo non fornisce previsioni che possono essere verificate sperimentalmente alle energie attualmente accessibili. La scoperta all’Lhc della supersimmetria e/o dell’esistenza di nuove dimensioni spaziali (oltre alle tre che conosciamo), entrambe componenti fondamentali della teoria delle stringhe, ci darebbe indicazioni a favore di questa teoria.
In che modo i prossimi risultati attesi da Lhc influenzeranno i percorsi che la ricerca dovrà seguire negli anni avvenire?
Nei prossimi anni la scoperta o meno di nuova fisica all’Lhc ci darà informazioni fondamentali sul tipo di acceleratori futuri, in particolare quali energie e tipi di fasci saranno necessari. La portata andrà al di là dell’ambito della fisica degli acceleratori, con impatto anche su altre linee di ricerca quali la fisica sotterranea (per la quale i Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, Infn, sono un centro di studi di eccellenza a livello mondiale) o le osservazioni del cosmo.
Quali sono le sfide scientifiche e tecniche dei nuovi super-acceleratori?
I nuovi acceleratori richiederanno nuove tecnologie, ad esempio lo sviluppo di magneti superconduttori ad alto campo, per poter raggiungere le energie più elevate minimizzando i costi. La storia ci insegna che questi sviluppi e i loro risultati hanno un impatto enorme anche su altre discipline e sulla vita di tutti giorni. Oggi esistono al mondo circa 30mila acceleratori di particelle, la maggior parte dei quali è utilizzata per scopi medici (ad esempio trattamento di tessuti cancerosi) e per lo studio di materiali. Sono stati costruiti con tecnologie sviluppate nei laboratori della fisica delle particelle, come il Cern e i Laboratori nazionali di Frascati dell’Infn.
Quando verrà presa una decisione definitiva sul successore di Lhc?
A seguito della scoperta del bosone di Higgs all’Lhc, il Giappone sta valutando la possibilità di costruire l’Ilc (International linear collider), un acceleratore lineare a elettroni per misurare in dettaglio le proprietà di questa particella. La decisione dovrebbe essere presa nel giro di qualche anno. La scoperta di nuova fisica pesante all’Lhc offrirebbe, invece, motivazioni molto forti per un acceleratore circolare a protoni, da tre a quattro volte più grande dell’Lhc e sette volte più potente. Ma una decisione su un tale progetto prenderà senz’altro più tempo.
Quali sono le differenze principali tra acceleratori lineari e circolari? Quali i più adatti a rispondere alle nuove domande della fisica?
Le macchine circolari sono quelle che permettono di raggiungere le energie più elevate, e quindi di scoprire le particelle più massive, accelerando e facendo scontrare fasci di protoni. Le macchine lineari servono, invece, ad accelerare elettroni, ma le energie raggiungibili sono meno alte rispetto agli acceleratori circolari a protoni. Il vantaggio dei fasci di elettroni è che le collisioni sono più pulite rispetto ai protoni e permettono quindi di effettuare misure di altissima precisione. Ad esempio, i fasci di elettroni sono i più indicati quando lo scopo è studiare in dettaglio le proprietà di una nuova particella. L’esperienza ci insegna che questi due tipi di acceleratori (a protoni e a elettroni) sono complementari e la loro sequenza temporale è dettata dalle motivazioni di fisica in un dato momento della storia.
Nei laboratori di Ginevra i 1400 ricercatori italiani rappresentano la comunità più numerosa, dopo quella americana. Qual è il contributo della scuola di fisica italiana all’interno della grande famiglia del Cern?
L’Italia ha una grande scuola in fisica delle particelle, che risale ai tempi di Fermi e del gruppo di via Panisperna. Edoardo Amaldi è uno dei padri fondatori del Cern, e due fisici italiani, Carlo Rubbia e Luciano Maiani, hanno ricoperto il ruolo di direttore generale. Questa tradizione di altissimo valore è stata portata avanti e sviluppata negli anni grazie soprattutto all’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’ente di ricerca nel campo della fisica delle particelle. L’Infn, insieme ai gruppi universitari a esso associati, ha fornito al progetto Lhc contributi intellettuali e tecnologici a livello dei migliori partner internazionali, coinvolgendo in questa impresa anche la nostra industria. L’attuale direttore di ricerca del Cern, Sergio Bertolucci, è italiano, e numerosissimi sono gli italiani che ricoprono posizioni di alta responsabilità in progetti al Cern e in altri laboratori. Questo capitale di eccellenza va preservato e sostenuto, in particolare attraverso la formazione e valorizzazione delle giovani generazioni. Purtroppo gli scarsi fondi per la ricerca e il precariato, una delle piaghe del nostro sistema, penalizzano soprattutto i giovani, spingendoli ad abbandonare la ricerca o emigrare all’estero.
Louis Pasteur affermava che “In natura il ruolo dell’infinitamente piccolo è infinitamente grande”. Perché è importante continuare a investire e scommettere sulla ricerca di base, soprattutto in periodi di crisi?
Perché la ricerca di base è l’anima del progresso. Senza nuove idee e nuova conoscenza non si va avanti, non si fanno quei salti trasformativi che permettono di cambiare la nostra vita. La lampadina non è una semplice evoluzione della candela, ha richiesto conoscenze rivoluzionarie. Tagliare la ricerca di base con l’illusione di risparmiare qualche soldo nell’immediato rappresenta un suicidio sul medio-lungo termine. Infatti, un Paese che è costretto a comprare conoscenza da altre nazioni è destinato al tracollo economico. Ma, al di là delle considerazioni sull’enorme impatto applicativo ed economico della ricerca di base, la conoscenza, come l’arte, è una delle espressioni più alte dell’uomo in quanto essere pensante. Non sostenerla significa tradire l’essenza stessa della natura umana.