In Italia va molto di moda l’economia partecipativa, la share economy. Ed infatti secondo una ricerca elaborata da Duepuntozero Doxa, il 74% degli italiani è ben disposto ad una forma di economia della condivisione. E’ questo un modello di cooperazione economica tra utenti che vuole saltare uno degli anelli dello scambio, l’intermediazione, e che opera fuori delle regole tradizionali del sistema economico.

Parliamo di proprietari di immobili che affittano stanze ai turisti; viaggiatori che si organizzano e condividono il tragitto con un mezzo di trasporto di proprietà di uno di loro, parliamo anche di iniziative a livello municipale, ad esempio la sharexpo che vuole trasformare la città di Milano in un laboratorio di condivisione durante l’Expò del 2015. Dagli affittacamere ai ristoranti in casa propria fino all’affitto di vetture o biciclette municipali, i milanesi dovrebbero offrire alla fiumana di visitatori (dai 15 ai 25 milioni) un modello di economia alternativa.

Chi meglio di noi italiani? Viene spontaneo chiedersi dal momento che l’economia criminale e quella illegale, che in Italia vanno da sempre a gonfie vele, altro non sono che modelli di cooperazione tra utenti di un sistema economico, quello fuorilegge, naturalmente si tratta di utenti-delinquenti che abilmente saltano gli intermediari: il fisco e lo Stato, ed agiscono fuori dalle regole tradizionali: la legge. E l’esempio lampante di quest’economia oscura ci viene fornito proprio dall’Expo 2015.

Dopo l’arresto di Antonio Rognoni, ex dg di Infrastrutture Lombarde, società coinvolta nella realizzazione delle più importanti opere pubbliche lombarde, ecco che in carcere sono finiti Angelo Paris, responsabile dell’Ufficio contratti di Expo 2015 ed alcuni volponi di Tangentopoli. L’accusa è di aver creato una rete tra imprese, cooperative e gli schieramenti politici, da destra a sinistra fino alla Lega, per condizionare e assegnare appalti in cambio di tangenti.

L’economia del mutuo soccorso, o pop economy, naturalmente è un’altra cosa, ma è bene non dimenticare che anche l’economia illegale è un sistema alternativo a quello tradizionale che poggia sulla condivisione fuori degli schemi tradizionali. Per prendere piede e diventare un modello economico in grado di coesistere con l’economia tradizionale, la pop economy deve prima di tutto elaborare una struttura teorica che ne giustifichi l’esistenza nella società moderna.

La domanda da porsi è la seguente: siamo di fronte alla risposta della collettività ad un sistema di tassazione eccessiva e ad un impoverimento generale della popolazione o è questo il modello alternativo di una società futura dove le risorse saranno insufficienti per tutti e quindi la condivisione diventa imperativa? In altre parole affittiamo le stanze ai turisti dell’Expò perché non arriviamo alla fine del mese o lo facciamo perché a differenza del resto del mondo siamo consapevoli che questo è il modello del futuro?

Solo in questo secondo caso si può parlare di rivoluzione economica e per portala a termine ci vuole ben altro che qualche iniziativa cittadina o movimento. C’è invece bisogno di una rivoluzione culturale che sostituisca al possesso l’uso, alla mera accumulazione del denaro la soddisfazione di un bisogno.

In fondo il marcio del sistema tradizionale trova sbocco nell’economia illegale e criminale, gestiti dall’interazione o cooperazione di utenti-delinquenti. Alla radice c’è la cupidigia, il greed anglosassone, la cui manifestazione primaria è l’accumulazione del denaro. Chi ne fa le spese è la collettività. I due sistemi quello legittimo e quello illegale sono le due facce di una stessa medaglia, nel primo si muovono le masse nel secondo le caste o le élite.

La pop economy deve guardare ben oltre, alla vera ricchezza della società che altro non è se non il benessere della collettività. Il corrispettivo pubblico sarà rappresentato dai beni comuni, non dall’accumulazione individuale dei membri delle caste o delle élite. Il salto di qualità è enorme ma si può fare, anzi si deve fare se vogliamo sopravvivere in un pianeta con limitate risorse.

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