Ottocento chili di cocaina provocarono l’assalto e la distruzione di Allende, un paesino di Coahuila, in cui i narcos del gruppo degli Zetas trasformarono i ranch in campi di sterminio. Il tutto coperto dal silenzio ufficiale. (Leggi la prima parte del reportage)
Il paese dalla sorgente
Allende (Coahuila) oggi lo chiamano ‘Springfield’ perché l’amministrazione municipale che iniziò il suo mandato a gennaio del 2014 dipinse di giallo la presidenza e i principali edifici pubblici, come il chiosco della piazza e la Casa della Cultura. In spagnolo Springfield significa ‘campo di primavera’ o ‘campo delle sorgenti’. Reynaldo Tapia, il sindaco del paese, dice che non gli piacciono ‘I Simpson‘ e che oltretutto non è del Pdr, il cui colore ufficiale è il giallo. Tapia è il padrone di più di venti casse di prestito e milita nel Pri. Dice che hanno dipinto di giallo il paese perché ‘è il giallo è il colore della forza’.
Giallo è solitamente anche il colore delle escavatrici come quelle che gli Zetas utilizzarono per abbattere le case del centro. Venerdì 18 marzo 2011, circa 50 pickup guidati da soldati del narcotraffico hanno fatto irruzione a Allende. Secondo le testimonianze rilasciate alla task force, gli uomini armati avevano una lista di indirizzi di case, negozi e ranch che dovevano saccheggiare e distruggere, e addirittura con un documento hanno avvisato il sindaco di allora, Sergio Lozano Rodriguez, del Pan. Una delle residenze devastate si trova giusto di fronte alla presidenza municipale e di fronte alla casa del politico c’è un’altra delle case prese d’assalto. La sua amministrazione non ha fatto nulla mentre si consumava il massacro.
I commandos arrivavano agli indirizzi e prendevano in ostaggio chiunque fosse presente. E portavano via gli oggetti di maggior valore, come soldi e gioielli. Poi lasciavano che i vicini e gli altri abitanti del paese rubassero quello che restava. C’era gente che portava via dai maceti ai frigoriferi. Uno dei casi che tutti ricordano è quello di un coltivatore che portò via un elegante salatto di pelle nera, che fu costretto a mettere sotto un albero, perché la sua mansarda era troppo piccola per contenerlo.
Una volta terminato il saccheggio, gli Zetas demolivano le case. La polizia municipale partecipò tanto all’attacco quanto al saccheggio: “Ho visto anche gente elegante dirigere le macchine”, ricorda uno degli intervistati. Nel giro di una settimana, i resti delle case distrutte nel centro di Allende erano ammassati da tutte le parti. Si vedevano ovunque blocchi di cemento grigi e travi di acciaio piegate e annerite dal fuoco. In nessuna delle case distrutte fu opposta resistenza agli spari e nessuno ricorda di aver presenziato alle esecuzioni.
“La verità è che si sentirono soltanto le granate e qualche esplosione, ma non si vide mai un cadavere, né si sentirono spari. Tutti quelli che portarono via dalle case erano vivi, ma dopo non si è saputo più niente di loro, fino ad ora” – mi spiega uno degli intervistati, la cui testimonianza fu presa anche dal reparto speciale
– Dove posso trovare qualcuno che mi racconti dei familiari scomparsi?
– A chiunque di qui domandi ti dirà che ha un familiare o un amico scomparso da quel momento. Questo è un piccolo paesino.
– Quante persone scomparvero?
– Si parla di 300 persone, ma credo siano di più. E’ stato un caos. Qui la gente non vuole ricordare ciò che è successo.
– Perché tanto accanimento?
– Tutta colpa di due persone: ‘Luis García e Héctor Moreno, che rubarono il denaro degli Zetas. La cosa peggiore è che loro due se ne stanno tranquilli negli Usa come testimoni protetti.
Luis García Gaytán fa parte della famiglia Garza che un centinaio di anni fa arrivò da Lampazos (Nuevo León) e mise radici a Allende. I Garza non erano una famiglia ricca, ma vivevano bene grazie alla buona quantità di terra che possedevano e lavoravano. Nei ranch dei Garza furono portate le persone rapite nel paese nel marzo del 2011. Héctor Moreno Villanueva, invece, appartiene a una famiglia che fece molti soldi con una fabbrica di ghiaccio e dopo con una piccola linea di trasporto regionale.
Per lo meno dal 2008 García Gaytán e Moreno Villanueva iniziarono a lavorare con gli Zetas. Nel 2011 entrambi erano arrivati tanto in alto da raggiungere livelli importanti nel traffico di cocaina verso gli Usa attraverso Eagle Pass, città nordamericana confinante con Piedras Niegras. Ma all’inizio del 2011 entrambi ruppero con la banda.
E il 18 dello stesso mese, per vendicarsi, i loro vecchi soci presero il paese del quale entrambi erano originari per distruggere tutte le proprietà e uccidere familiari, amici e finanche i loro dipendenti. Decine di persone il cui cognome è Garza, Gaytán, Moreno e Villanueva vennero portare al ranch che si trova al chilometro nove della strada tra Allende e Villa Union. Portarono via anche badanti, cuochi, donne di servizio, muratori e allevatori di galli che lavoravano per le loro famiglie. Questi ranch dei Garza, secondo le indagini della Procura, diventarono un campo di sterminio in cui gli Zetas uccisero i prigionieri per poi bruciarli di nascosto nei barili di diesel.
Chiunque portasse questi cognomi era a rischio. Compresa l’agente del ministero pubblico locale, Blanca Garza – che non è un familiare di José Luis Garza – e che fu costretta ad andare via per un periodo. Molti dei parenti di Garza Gaytán e Moreno Villanueva riuscirono a scappare e ora vivono negli Usa. Un anno e mezzo dopo, uno di loro, Sergio Gaza, decise di tornare a Allende. Aprì un negozio di vestiti. Due settimane dopo fu ucciso insieme a suo figlio.
Da marzo del 2011 fino a febbraio di quest’anno, il paese ha convissuto con le rovine delle quasi 40 case abbattute.
Alcuni giovani videro nella tragedia un’opportunità di business e diedero inizio al ‘Tour delle case distrutte’, spiegando agli stranieri ciò che era accaduto. I ragazzi un giorno furono trovati con un colpo in testa. La macchina della morte non ha smesso di lavorare.
– Ma come è possibile? Come è potuto succedere? Come si è potuto permettere una cosa del genere? – domando a uno degli abitanti.
– Se questa gente si mette in testa di uccidere tutti gli abitanti, non succede niente. Il paese si trovava totalmente senza protezione.
Il reparto della Procura cominciò a fare un censimento della devastazione. Il conto ufficiale delle case attaccate nel centro di Allende, fino all’inizio di febbraio 2014 – senza contare ranch e case fuori dalla rotonda – è di 29 proprietà. In alcuni casi, le persone che compaiono come proprietari sono dei presunti prestanome della famiglia Garza Gaytán e Moreno Villanueva.
Continua…
(Traduzione di Alessia Grossi)