Quando leggi la storia di uno come Michael Sam capisci che non c’è nessun destino scritto se non quello che ciascuno di noi contribuisce a creare per sé stesso. Settimo di otto figli, Michael ha perso due fratelli, di cui uno morto per ferite d’arma da fuoco, uno è scomparso e non è mai stato ritrovato, due sono in carcere. Sua madre e suo padre si sono separati quando era piccolo: per un periodo ha dormito nell’auto di sua madre prima di essere accolto dalla famiglia di un suo compagno di scuola, che gli ha offerto un letto e l’idea di una vita normale.
E’ stato il primo nella sua famiglia ad andare al college, lì dove la sua storia ha cominciato a delinearsi grazie alle sue qualità di giocatore di football, che gli hanno fatto guadagnare una borsa di studio e poi l’ingresso nella squadra universitaria del Missouri.
Miglior giocatore nel suo ruolo, Michael Sam, qualche mese fa decise, con un coraggio da veri uomini (nel senso di essere umani e non di maschi), quello fatto di paura, rischio, determinazione e, perché no, disperazione, di fare ‘coming out’ e dire, durante un’intervista al New York Times, di essere gay. Un coraggio da grande campione, quello di questo ragazzo, nero (fra gli afro americani è doppiamente difficile ammettere spesso la propria omosessualità) e già segnato da tante difficoltà che ha messo, con la sua confessione, a rischio la sua intera carriera.
Ieri, però, dopo un’attesa troppo lunga (al settimo e ultimo giro), Michael è stato scelto dalla squadra del Saint Louis Rams che gli consentirà di fare il suo ingresso ufficiale nella NFL, National Football League.
Il video di ESPN del momento in cui Michael riceve la telefonata del coach del St. Louis e scoppia a piangere mentre riesce solo a ripetere “Yes sir, yes sir” è tutto ciò che serviva, soprattutto a noi italiani, soprattutto in questi giorni, per ricordarci cos’è o, perlomeno, cosa dovrebbe essere lo sport. Alla fine della telefonata, Michael, in lacrime, ha abbracciato e baciato il suo fidanzato, anche lui in lacrime. Questo momento, questo gesto, unito al coraggio dei St. Louis, cambierà la storia, come quando nel baseball entrò il grande Jackie Robinson, in primo afro americano ammesso a giocare in una squadra di bianchi. Il mitico, indimenticabile “42”.
La storia va avanti e i diritti umani, fra gli umani, alla fine la spuntano. Non importa il colore della pelle o l’etnia o l’orientamento sessuale. Non importa se ci sono ancora persone che non hanno capito che non si tratta neppure più di “accettare o meno un gay” ma solo di accettare un principio che è persino religioso, prima ancora che costituzionale, e cioè che tutti gli esseri umani sono uguali.
Anzi no. Alcuni sono dei campioni. Come Michael Sam. E fanno la storia.