Dieci le indagini in corso su casi di sfruttamento dei lavoratori da parte di cooperative controllate da organizzazioni criminali che le utilizzano per riciclare denaro sporco. Il pm di Milano, Carlo Nocerino, accusa: "I grandi gruppi accettano la situazione per risparmiare sulla manodopera"
Un protocollo per combattere lo sfruttamento lavorativo nella logistica. La sperimentazione cominciata alla Procura di Milano un anno fa, sotto la guida del procuratore Carlo Nocerino, diventerà pratica comune nei prossimi mesi. Il documento coinvolge l’Inps, il nucleo Tutela lavoro dei Carabinieri, la guardia di Finanza e la Prefettura, che si coordineranno per rispondere in modo più efficace al fenomeno. Dalle indagini in corso, una decina, emerge che dietro lo sfruttamento si nasconde sempre lo stesso meccanismo: le grandi catene di logistica e distribuzione affidano l’appalto a consorzi. Questi girano poi il lavoro a cooperative che eludono totalmente il fisco e non pagano i contributi per abbattere così i costi della manodopera. A controllarle sono organizzazioni criminali, che le utilizzano per riciclare denaro sporco con cui pagano i lavoratori, rigorosamente in contanti o con carte prepagate. “Il problema è che la committenza è connivente, sa quello che accade, ma accetta per risparmiare sulla manodopera“, sottolinea il pm Nocerino. Poche indagini partono dalle denunce dei lavoratori, per la maggior parte extracomunitari irregolari, arrivati in Italia attraverso una rete criminale che promette loro un impiego. Le condizioni per ottenerlo sono turni di 10-12 ore al giorno per paghe che non superano i 400-500 euro al mese. Salari così drogano il mercato. E si teme che cooperative di questo genere si aggiudichino anche appalti per la logistica di Expo.
Per questo la task force guidata dalla procura sta intensificando le indagini. Per la Cooperativa lotta contro l’emarginazione, una onlus che lavora in tutta la Lombardia, la prima sfida è convincere i lavoratori a denunciare. “La possibilità per uscire dallo sfruttamento c’è, ma è ancora è poco nota nelle stesse procure”, nota Paolo Cassani, responsabile della Cooperativa. L’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione prevede infatti che chi denuncia possa ottenere un permesso di soggiorno valido 18 mesi. Lo sfruttamento lavorativo è definito nel nostro ordinamento dal 2011, con l’introduzione dell’articolo 603 bis del codice penale: si verifica in caso di “sistematica retribuzione in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali“, di “sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro” e quando ci siano “violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro”. La cooperativa deve ricostruire le prove dello sfruttamento. Un iter complicato, il cui esito dipende anche dalla sensibilità e dall’attenzione di chi fa i controlli nei posti di lavoro e del pm. In dieci anni, 350 persone hanno ottenuto grazie alla onlus un permesso di soggiorno, 20 negli ultimi sei mesi. Ma il fenomeno resta in gran parte sommerso.
A. A. A. è nato a El Salvador e in Lombardia lavora in una cooperativa a cui una grande multinazionale ha affidato il trasporto di merci. Le indagini sul suo caso sono ancora in corso. La Cooperativa ha dimostrato che era pagato 40 euro (in contanti, a fine giornata) per 10-12 ore di lavoro. Arrivava a trasportare con il camion anche 4 tonnellate alla volta, ben oltre i limiti di legge. Il lavoro funzionava a chiamata. Quando non ce n’è stato più, il datore di lavoro, un connazionale, l’ha licenziato. Solo a quel punto A. A. A. ha denunciato e ha chiesto aiuto. Lo stesso è accaduto per C. M. C., suo connazionale, impiegato per lo stesso settore in un’altra azienda, che prendeva appalti sempre dalla stessa multinazionale. Lavorava dalle 6 alle 17, per 45 euro al giorno. Ogni mese spendeva, di tasca propria, 150 euro circa per benzina, multe, caselli. Proprio da queste carte la Cooperativa ha ricostruito il suo caso. L’ultima indagine ancora in corso riguarda 11 marocchini che trasportano giornali. Un servizio di sei ore, tutte le notti, retribuito meno di 300 euro al mese. “Il problema è che noi facciamo partire queste indagini, otteniamo il permesso di soggiorno, ma spesso non sappiamo se chi sfrutta, alla fine, viene condannato”, confessa Cassani.