Nel 1974 oltre 19 milioni di italiani dissero "no" all'abrogazione della legge, confermando quindi l’esistenza dell’istituto introdotto nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini. Coincidenze della storia proprio la prossima settimana, mercoledì 14 maggio, in commissione Giustizia della Camera riprenderà l’esame del testo sul cosiddetto divorzio breve, che punta a ridurre a un anno, rispetto agli attuali tre, il tempo di separazione ininterrotta richiesto per poter accedere allo scioglimento definitivo del matrimonio
Il divorzio compie 40 anni. Il 12 e il 13 maggio del 1974 gli italiani dissero “no” all’abrogazione della legge sul divorzio, confermando quindi l’esistenza dell’istituto introdotto in Italia nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini, dal nome dei deputati Loris Fortuna, socialista, e Antonio Baslini, liberale, primi firmatari delle proposte poi abbinate nel corso dell’iter parlamentare. Si trattò del primo referendum abrogativo della storia repubblicana, quello che finora ha raggiunto il quorum maggiore di votanti, l’87,72 per cento.
Coincidenze della storia e della politica, proprio la prossima settimana, mercoledì 14 maggio, in commissione Giustizia della Camera riprenderà l’esame del testo sul cosiddetto divorzio breve, che punta a ridurre a un anno, rispetto agli attuali tre, il tempo di separazione ininterrotta richiesto per poter accedere allo scioglimento definitivo del matrimonio.
Il grande sconfitto di quella competizione elettorale fu il segretario della Democrazia cristiana Amintore Fanfani, che aveva fortemente voluto il referendum. “Grande vittoria della libertà”, titolò con enfasi L’Unità. “È una grande vittoria della libertà, della ragione e del diritto – dichiarò il segretario comunista Enrico Berlinguer – una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. Fanfani affermò l’ossequio della Dc “alle decisioni che gli elettori hanno liberamente preso”. Avvenire aprì titolando “Hanno prevalso i no”, ma nell’occhiello ricordava che “milioni di italiani hanno votato contro il divorzio”.
Paolo VI, pur evitando appelli in contrasto con l’obbligo del silenzio elettorale, non rinunciò ad evocare la questione, affacciandosi dalla finestra del Palazzo apostolico a mezzogiorno di quella domenica 12 maggio per la preghiera del Regina coeli: “Noi non romperemo ora il silenzio di questa giornata, destinata per gli Italiani alla riflessione decisiva, in rapporto con uno dei più gravi doveri per i credenti e per i cittadini, in ordine al bene della famiglia. Noi -disse il Papa- inviteremo soltanto a mettere questa espressa intenzione, implorante sapienza, nella nostra odierna preghiera alla Madonna”.
Alle urne si recarono oltre 33 milioni, dei 37 milioni aventi diritto. I “no”, che si tradussero in una conferma per il divorzio, furono il 59,26 per cento (19 milioni 138mila 300), i “sì”, in realtà contrari all’istituto, il 40,74 per cento (13 milioni 157mila 558). La Val d’Aosta, con il 75,1 per cento, fu la regione con il maggior numero di no, seguita dalla Liguria, 72,6, dall’Emilia Romagna, 71, dal Piemonte, 70,8, dalla Toscana, 69,6. Nel Lazio, invece, nonostante la presenza del Vaticano, i “no” furono il 63,4. La più bassa percentuale di contrari all’abrogazione della legge si registrò invece in Molise con il 40 per cento. Vittoria dei “sì” anche in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Trentino Alto Adige e Veneto.
La legge che introdusse il divorzio in Italia fu approvata definitivamente dalla Camera il 1 dicembre del 1970, martedì, con 319 voti favorevoli e 286 contrari, con 605 votanti e presenti, al termine di una seduta conclusasi alle 5,40 del mattino con votazioni iniziate alle 10 del giorno precedente. Successivamente, nel 1987 fu approvata una modifica che ridusse da 5 agli attuali 3 gli anni di separazione richiesti prima di poter accedere al divorzio. Un cambiamento approvato in extremis prima della fine anticipata della legislatura, grazie alla regia dell’allora presidente della Camera, Nilde Iotti, che riuscì ad ottenere l’accordo unanime di tutti i Gruppi per un’approvazione in commissione in sede legislativa.