Il segretario della Dc, come tanti cattolici di destra, vedeva nel divorzio il grimaldello per arrivare al matrimonio tra omosessuali. Quarant’anni dopo, alle soglie della Terza Repubblica, nel nostro Paese i diritti civili dei gay ancora non sono riconosciuti
Amintore Fanfani, preso come al solito dalla foga oratoria, arringò così una folla di contadini: “Magari vostra moglie vi lascerà per scappare con qualche ragazzina”. Era la fine di aprile 1974 e mancavano 2 settimane alla data fatidica del 12 maggio. La campagna elettorale per il referendum sul divorzio spaccò, in molti casi, le famiglie. Il segretario della Dc, come tanti cattolici di destra, vedeva nel divorzio il grimaldello per arrivare al matrimonio tra omosessuali. Quarant’anni dopo, alle soglie della Terza Repubblica, nel nostro Paese i diritti civili dei gay ancora non sono riconosciuti.
La legge Baslini-Fortuna ebbe una gestazione convulsa, lunga e drammatica. A 5 anni dalla presentazione fu approvata in una seduta estenuante, nella notte tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1970. Il presidente della Camera era Pertini che annunciò il risultato alle 6 di mattina: 319 voti a favore, 286 contrari. Il fronte divorzista era costituito da comunisti, socialisti di varia estrazione, liberali e repubblicani. Contro democristiani, missini e monarchici.
L’impulso a questa storica svolta (che con il referendum di 4 anni dopo, segna una cesura nella parabola repubblicana) era venuto già all’inizio degli anni sessanta dalla rifondazione radicale di Pannella, Spadaccia e Bandinelli e dalla successiva istituzione della Lid, la Lega per l’istituzione del divorzio. Un ruolo decisivo fu giocato da due testate giornalistiche, un settimanale come L’Espresso e un rotocalco nazional-popolare che si chiamava ABC.
Il cammino per arrivare al referendum fu altrettanto tormentato. La Dc elesse Leone al Quirinale con i voti della destra e questo fu l’asse che venne sconfitto il 12 maggio 1974. A chiedere l’abrogazione fu il comitato di Gabrio Lombardi, il Cnrd, credente oltranzista che contrastò le mediazioni tra Dc e Pci nel quadriennio seguito all’approvazione della Baslini-Fortuna. Per l’occasione risorse Luigi Gedda, l’alfiere più combattivo del Quarantotto democristiano contro il fronte socialcomunista.
Anche nella Chiesa ci furono dibattiti e divisioni. Il 16 febbraio, tre mesi prima del voto, 82 personalità cattoliche si schierarono per il no al divorzio. Divennero ben presto duecento. Tra cui: Scoppola, Meucci, La Valle, Gorrieri, Gozzini, Tiziano Treu, Arturo Parisi, i fratelli Paolo e Romano Prodi, Leopoldo Elia. Il 3 maggio, con Pedrazzi, altro cattolico del no, a rappresentare il Psi in una tavola rotonda fu Fabrizio Cicchitto, poi berlusconiano e oggi neodemocristiano. Lo scontro fu durissimo. La Dc fece un manifesto con un bambino: “Pensa a tuo figlio, contro il divorzio vota sì”. Il Pci rispose così: “Non votare come Almirante. Non mescolare il tuo voto con i fascisti”. Il repubblichino Giorgio Almirante era il leader del Movimento sociale, che a sua volta fece stampare questo manifesto: “Contro gli amici delle Brigate Rosse il 12 maggio vota sì”. Quando poi Almirante è morto, quasi tre lustri dopo, la vedova donn’Assunta ha rivelato che “Giorgio votò a favore del divorzio perché io ero già sposata prima di incontrarlo”. Almirante, in gran segreto, votò come gli amici delle Br.
La campagna elettorale si chiuse il 10 maggio. Fanfani andò a Milano, in piazza Duomo, e riassunse il senso di tutta la sua battaglia: “I figli non devono essere calpestati dal capriccio dei genitori ”. A Roma, in piazza del Popolo, si radunò il fronte social-liberale. Malagodi, La Malfa, Saragat e Nenni sul palco. Per la prima volta, la grande stampa borghese del capitale, Corriere della sera e Stampa innanzitutto, fece la stessa battaglia dell’Unità, organo del Pci.
Alle urne andarono in 33 milioni e 29mila elettori. I sì furono il 40,9%, mentre i no volarono al 59,1%: furono più di 19 milioni. Rispetto alle previsioni il fronte anti-divorzista perse tre milioni di voti. Le regioni dove il no stravinse furono: Val d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna, Piemonte, Friuli Venezia Giulia. Poi: Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Lazio. L’elettorato italiano sorprese tutti, mostrandosi più maturo dei partiti maggiori che per un decennio circa avevano mediato e tentennato sulla questione divorzio: Dc e Pci. Con in mezzo il Vaticano.