David Beckham vuole costruire una enorme piattaforma al largo di Miami dove ospitare lo stadio della sua nuova squadra di calcio. La più global delle star del calcio, ex da un anno, è diventato proprietario di una squadra che nel 2016 esordirà nella Major League Soccer, il massimo campionato di calcio Usa. Business is business e pochi mesi dopo l’insediamento l’ex campione dei Los Angeles Galaxy ha presentato il suo progetto per la realizzazione del nuovo impianto cittadino. Un master plan troppo spregiudicato anche per gli americani, mai particolarmente conservatori quando si tratta di fare girare capitali. La prima versione prevedeva infatti la costruzione di un’arena da 25mila posti a sedere nel porto di Miami, vista downtown. Un investimento complessivo da 200 milioni di dollari per riempire di negozi e hotel 15 ettari di terraferma. 

Non se ne parla nemmeno, la risposta di chi col porto ci lavora. La città è uno scalo importante, considerato la capitale mondiale delle crociere. Negli ultimi anni lo stato della Florida ha speso 2 miliardi di dollari per renderlo attrattivo a livello internazionale e la riapertura del canale di Panama rappresenta un’opportunità straordinaria. Per la Miami Seaport Alliance, organizzazione che coalizza i diversi operatori portuali, lo stadio metterebbe a rischio le operazioni navali, aumenterebbe il traffico nell’area e avrebbe un impatto economico negativo. Lì lavorano oltre 200mila persone che, sostengono, sarebbero penalizzate da attività poco remunerative.

I rappresentanti di Beckham hanno respinto le accuse e giocato la carta dei nuovi salari: cento posti di lavoro assicurati per l’edilizia, migliaia in futuro per ristorazione e servizi. Lo spice boy sa bene che non può sbagliare nessuna mossa. Il calcio in America è in crescita da anni, ma è una crescita ancora troppo lenta. In Florida c’è una forte e entusiasta comunità ispanica, ma l’ultimo progetto di un team dell’altro football fallì miseramente nel 2001. I Miami Fusion allora giocavano a 30 chilometri dal lungomare e la franchigia fu cancellata per mancanza di pubblico e appeal. Serve uno stadio bello e in centro, oltre a una squadra vincente. 

Partire con tutte quelle polemiche e con nemici rumorosi e capaci di fare lobby, però, non era una grande idea e Beckham appare ora pronto al passo verso il mare. L’oceano è di tutti e quindi di nessuno, deve avere pensato. Politicamente terra franca. In bilico tra provocazione e pionierismo, lo staff di Becks ha preso in prestito l’idea da Singapore, dove nel 2007 è stato inaugurato un immaginifico stadio galleggiante. Negli scorsi anni anche i soci del Barcellona avevano fatto un pensiero a un Camp Nou isolano.

La piattaforma rettangolare misurerebbe 350 metri per 100 e avrebbe una profondità massima di 8 metri. Guarderebbe in faccia il Museum Park e l’American Airlines Arena, palazzetto dei Miami Heat bicampioni Nba. Il team di Lebron James, da molti dato per futuro partner di Beckham nel board del club.  Certo, i costi di costruzione e quelli di mitigazione ambientale schizzerebbero alle stelle. E poi c’è la trafila burocratica. Anche perché il campo è pensato nella riserva acquatica della baia di Biscayne, un’area protetta per la sua fauna marina. 

Ma lo staff dell’ex calciatore ha calcolato che con 50 milioni in più rispetto alle stime precedenti il progetto si può fare. Né è intenzionato a mettersi di traverso il sindaco di Miami Carlos Gimenez, che pare avere un discreto feeling con l’ex capitano inglese e che non ha mai pronunciato parole di contrarietà. Beckham ha tempo fino al 19 maggio per arrivare con i rendering definitivi.

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