Una tregua di due giorni, decisa dopo una giornata di trattative tra il sindacato Si Cobas e le istituzioni. Lo stabilimento Ikea di Piacenza riaprirà martedì e mercoledì prossimo in attesa di una nuova mediazione tra le parti. Le trentatré sospensioni dal lavoro, inviate ad altrettanti facchini del magazzino di Ikea a Piacenza, sicuramente a qualcosa sono servite: a ricompattare un movimento ostile alle cooperative che gestiscono il personale. In particolare la San Martino, oggi, come in passato, nell’occhio del ciclone. E proprio contro quello che considerano uno “sfruttamento” e una serie di “ingiustizie”, un migliaio di aderenti al sindacato Si Cobas – sia del sito piacentino che da tutto il nord Italia – si sono trovati domenica in corteo per le vie della città, partendo dai giardini Margherita davanti alla stazione per gridare forte la loro rabbia. “Siamo qui per dare un segnale politico, abbiamo subìto un attacco senza precedenti ed è stato premeditato. Si vuole eliminare un sindacato scomodo – ha esordito Edoardo Pietrantoni, segretario provinciale Si Cobas – e abbiamo visto le reazioni del sindaco e del presidente della Provincia, che hanno chiuso al dialogo. Questo è buttare benzina sul fuoco”. Fuoco che si è acceso durante la manifestazione, con numerosi cori di supporto ai lavoratori esclusi e a coloro che hanno ricevuto denunce e diffide per le proteste dei giorni scorsi che hanno portato, davanti ai cancelli di Le Mose, a 4 feriti da parte dei facchini e quattro tra le forze dell’ordine.
“Devono rispettare il contratto nazionale della logistica. Ad ora, le cooperative prevedono un trattamento diverso rispetto ai dipendenti di Ikea, non coprono mutua e infortunio, chiedendo però più produttività. E’ inaccettabile” ha poi rimarcato Pietrantoni, aggiungendo che “siamo pronti a dialogare lunedì nell’incontro con il prefetto, vedremo se ci sarà la cooperativa. Ma li avvisiamo: se martedì alla riapertura utilizzeranno la forza, siamo pronti alla chiamata generale”. Molti, durante il corteo, hanno poi voluto rispondere alla San Martino, la quale aveva diffuso nei giorni scorsi una busta paga di un facchino che, a suo dire, sarebbe arrivato a guadagnare 2mila euro al mese: “Sì, anch’io ho guadagnato quella cifra, ma lavorando 234 ore. Vi sembra un buon trattamento?” ha detto Ibrahim, marocchino di 42 anni. Altri, invece, buste paga del genere se le sognano. Come Simone, italiano 30enne per esempio, il quale ha detto di guadagnare molto meno: “Lavoro 8 ore per 800-900 euro al mese, bisogna tenere conto delle trattenute”. Altri, invece, hanno segnalato come lo stipendio mostrato dalla coop sia “di un responsabile, di quinto livello, mentre noi operai siamo al massimo di 4g o 4s e arriviamo al massimo, con gli straordinari, a prendere 1.600-1.700 euro con 600 o 800 euro di trattenute”. Le proteste del sindacato Si Cobas, insomma, sono riesplose – a un anno e mezzo di distanza – dopo che la cooperativa San Martino ha inviato a 33 lavoratori un provvedimento di sospensione. Questo dopo che il gruppo – secondo l’azienda – si era reso responsabile dell’occupazione di un reparto per difendere un loro collega al quale era stata cambiata la mansione, perché gli era scaduto il patentino come carrellista. Per timore che fosse lasciato a casa – hanno detto gli iscritti al sindacato – avevano deciso di protestare. Ben diversa la versione della cooperativa, la quale dice di aver solo chiesto che il lavoratore si attenesse alle norme di sicurezza, cambiando ruolo per un periodo utile a rinnovare il documento, senza perdere lo stipendio.
“Siamo ostaggio di criminali”. Questo è stato invece il pensiero espresso da circa 250 lavoratori Ikea (non iscritti ai Cobas) che avevano manifestato venerdì mattina davanti al Comune contro le proteste degli aderenti al sindacato di base che hanno portato alla chiusura dello stabilimento di Le Mose. “Ci minacciano, il clima è teso all’interno dell’azienda, per colpa loro che non vogliono rispettare le regole” ha detto più di un dipendente della multinazionale svedese. E gli ha fatto eco un collega: “Vogliamo tornare a lavorare. Non possiamo rischiare lo stipendio per delle persone che non si adattano a disposizioni di sicurezza alle quali aderiamo tutti”. Il sindaco Paolo Dosi, dal canto suo, ripercorrendo le fasi della trattativa, aveva assicurato che “non siamo più disposti a trattare con queste persone”. Non erano mancati poi numerosi attacchi al consigliere comunale Carlo Pallavicini della Sinistra per Piacenza, che ha sostenuto le manifestazioni di questi giorni. E così si è aperto anche il fronte di spaccatura politica a palazzo Mercanti: Marco Pascai, consigliere comunale del Pd, ha infatti chiesto ufficialmente che esca dalla maggioranza: “Chi non vuole la crescita e lo sviluppo della città, magari usando le attività sindacali a scopo politico e mettendo a rischio centinaia di posti di lavoro, vada pure avanti a farlo, ma al di fuori dell’amministrazione”. Dura la risposta di Pallavicini: “L’allontanamento lo ha sancito il sindaco, con un gesto irresponsabile che ha chiuso al dialogo. Un gesto di un estremismo e una violenza che si commenta da solo. La prefettura, invece, vuole mantenere la questione su tavoli istituzionali e sindacali. Vedremo chi sono le parti dialoganti e i facinorosi”.
Il tentativo di trovare una soluzione non era mancato, con l’estenuante confronto sempre di venerdì scorso in prefettura, durato quasi quattro ore, al quale avevano preso parte i rappresentanti della coop, i segretari locali di Cgil, Cisl e Uil, oltre alle istituzioni, con il sindaco Paolo Dosi e il presidente della Provincia, Massimo Trespidi. All’assenza dei Cobas, però, la montagna ha partorito il topolino. Il nodo era legato alle modalità di sblocco dei cancelli: la coop aveva chiesto che prima venissero tolti i picchetti e poi si sarebbe potuto trattare. I Cobas, dal canto loro, hanno chiesto prima la trattativa e poi, eventualmente, avrebbero tolto i blocchi ai cancelli. In mezzo Ikea, con l’ad Lars Petersson che ha atteso per ore una schiarita che non è arrivata e alla fine ha lasciato la riunione scuro in volto. Alla fine è stato fissato un incontro tra le parti per lunedì 11 maggio – in vista della riapertura prevista martedì – ma la cooperativa ha detto che non sarà presente, nonostante le aperture del sindacato che ha accettato di togliere i blocchi, purché tutti i lavoratori possano tornare nel magazzino senza lettere di sospensione. Durante la riunione, poi, aveva fatto discutere la posizione del prefetto, Anna Palombi, che aveva rifiutato alcune richieste di totale chiusura e, anzi, aveva auspicato l’apertura della trattativa con i Cobas: “Non è una soluzione il non permettere lo svolgimento del corteo o escludere una parte – avrebbe detto -. La strada è quella sindacale e non solo con le forze dell’ordine. Il loro impegno è già stato portato avanti e non si può usare solo questo strumento. Non voglio difendere i Cobas ma questa parte non può essere esclusa dalle trattative”.
E così, dopo giorni tesissimi e sei ore di tavolo tra le parti sempre in prefettura, sono stati stabilito due giorni di tregua. La cooperativa San Martino e il sindacato Sì Cobas hanno raggiunto una fragile intesa, grazie alla mediazione del prefetto di Piacenza: i facchini manterranno lo stato di agitazione, ma martedì 13 e mercoledì 14 maggio non attueranno i blocchi ai cancelli. Verrà dunque consentito a chi vuole entrare nello stabilimento di Le Mose di lavorare così come ai mezzi di entrare e uscire liberamente. Inoltre la coop si è impegnata a non procedere alla sostituzione dei lavoratori che hanno scioperato. Ed è stato sottoscritto un comunicato congiunto, in cui si legge: “I soci lavoratori sospesi, che ancora non hanno ritirato la lettera di sospensione si impegneranno a formalizzare una risposta alle contestazioni alla presenza del sindacato, dinnanzi alla cooperativa, già a partire da martedì 13 maggio e la coop si impegna a comunicare l’esito del procedimento a carico dei soci lavoratori sospesi e ad effettuare le valutazioni con la massima scrupolosità nell’ottica del contesto in cui sono avvenute”.