Per ora il fondo di finanziamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) s’è salvato: il Tesoro voleva tagliarlo per coprire il bonus da 80 euro, ma Matteo Renzi non ne ha voluto sapere a poche settimane dalle sue prime elezioni da premier. Solo per ora, però, visto che nella legge di Stabilità la mannaia arriverà eccome: il ministro Beatrice Lorenzin ha già detto che nel triennio l’obiettivo è risparmiare quasi 11 miliardi, vale a dire un terzo dell’obiettivo assegnato a Carlo Cottarelli con la spending review (32 miliardi entro il 2016).

C’è un problema, però: come certificano le conclusioni di un’indagine conoscitiva del Parlamento sulla sostenibilità finanziaria del Ssn, il settore della sanità non può reggere ulteriori tagli, specialmente se lineari. Il testo – che Il Fatto Quotidiano ha potuto leggere in bozza (è in via d’approvazione da parte delle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera) – è pieno di numeri che certificano lo stato di prostrazione del Servizio sanitario: sarà divertente vedere come, dopo aver votato un testo che chiede semmai ulteriori fondi per la salute, il Parlamento si troverà a dover approvare una manovra di tagli da 10 miliardi in tre anni. Lo stesso ex ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, in audizione parlamentare, ha chiarito che “il risanamento avviato finora è avvenuto con tagli lineari, per i quali però ora non vi sono più margini”. Notevole che l’obiettivo di Lorenzin sarebbe enorme anche recuperando l’intero stock di spesa considerato inquinato dalla corruzione: 5-6 miliardi di euro.

I SOLDI – Secondo Istat, la spesa sanitaria pubblica si situa nel 2013 su un valore di circa 110 miliardi di euro, pari al 7,1% del Pil. La percentuale sale al 9,2% se si aggiunge anche la spesa sanitaria privata, che l’anno scorso ammontava all’ingrosso a 30 miliardi. Come si può vedere anche dalla tabella (e i dati sono del 2011, prima dei tagli più consistenti), l’Italia spende meno della media Ue a 15 (10%), meno di quella Ocse (9,5%), meno di paesi paragonabili. Non solo: l’incidenza sul Pil è già prevista in calo nei prossimi anni – e senza i tagli di Cottarelli – fino al 6,7% del 2017. In queste condizioni, si legge in un passaggio della relazione, “l’obiettivo costituzionalmente garantito (quello alla salute sancito dall’articolo 32, ndr) è ora rimesso in discussione”, visto che “il nostro sistema ha meno risorse effettive e non riconosce alcun aumento dei bisogni” (che pure c’è per il semplice motivo che l’età media continua ad aumentare).

 I TAGLI – Le regioni, che gestiscono la spesa sanitaria, hanno lamentato che la riduzione dei trasferimenti per il periodo 2011-2015 ammonta a circa 31 miliardi e 553 milioni di euro, la ministro Lorenzin ha provato a replicare parlando di “tagli veri” per 23 miliardi. La Corte dei Conti, però, ha dato ragione ai governatori: “Oltre 31 miliardi”. Di più: aver scelto i tagli lineare ha finito per “penalizzare le realtà più virtuose”, cioè quelle che già spendevano poco e si sono ritrovati a non poter tagliare “il grasso”, ma i servizi ai cittadini. Già ora, per dire, l’obiettivo è ridurre ulteriormente i posti letto di 20 mila unità, settemila delle quali nel Ssn: alla fine saremo “uno dei paesi europei col più basso numero di posti letto per abitante”. “Certo vanno rimossi i vecchi sprechi, ma la sfida è più complessa – scrivono i deputati nelle loro conclusioni -. La riorganizzazione richiede tempo se non vogliamo i letti non nei corridoi, ma per strada”. Anche i ticket non hanno funzionato per ri-orientare la spesa: l’hanno solo fatta confluire sul privato.

IL PERSONALE – Anche chi lavora nel Servizio sanitario ha subìto l’andazzo dei tagli: il blocco del turnover ha causato un progressivo invecchiamento degli addetti, soprattutto i medici, in una professione che – specie negli ospedali – è davvero usurante. Se si guarda ai numeri totali, invece, bisogna fare una distinzione: l’Italia ha 3,7 medici ogni mille abitanti, in linea con la media Ue, mentre il rapporto medici-infermieri è solo di 1,4 contro il 3,2 del resto d’Europa. Pure dal lato del monte stipendi si notano le politiche di austerity (il blocco dei contratti della P.A. influisce pure sul comparto): nel 2008 la spesa era di 38,3 miliardi complessivi, oggi siamo vicini ai 36.

GLI ACQUISTI – Particolarmente divertente è la vicenda della spesa in beni e servizi. Al netto dei farmaci ospedalieri, questa categoria per l’intero comparto pesa per circa 21 miliardi l’anno: le manovre da Monti a Letta hanno previsto tagli lineari per 3,8 miliardi entro quest’anno, circa il 18% del totale, compresi i contratti in essere (col relativo contenzioso quasi sempre favorevole alle imprese). Raggiungere l’obiettivo però – si legge nella bozza di conclusioni dell’indagine parlamentare, “non è stato possibile e non era possibile” e “il taglio si è tradotto in riduzione del finanziamento al sistema e quindi in riduzione dei servizi sanitari”. Curioso che proprio a un taglio lineare degli acquisti di beni e servizi sia ricorso Matteo Renzi per coprire parte del suo sconto Irpef: risparmiare 700 milioni, ad esempio, tocca pure alle regioni, i cui bilanci per l’80% sono costituiti proprio dalla spesa sanitaria. È lì che dovranno fare la maggior parte dei tagli e anche stavolta, come sempre, intervenendo sui contratti in essere: il buco, però, potremo scoprirlo solo a consuntivo e verrà coperto con nuovi tagli ai servizi. Al solito.

L’INNOVAZIONE – Parola alle conclusioni dei deputati: “Senza innovazione, un moderno sistema sanitario non solo non è in grado di garantire i nuovi diritti di salute della popolazione, ma perde quotidianamente qualità nel garantire i diritti che appaiono già consolidati”. Insomma servono soldi: “Un servizio sanitario che rinunci all’innovazione è destinato a diventare un servizio sanitario residuale, in quanto l’universalismo deve contenere al suo interno la parte più debole e la parte più forte della popolazione, laddove, se un sistema sanitario non sa introiettare l’innovazione , la parte più forte è la prima a uscire dal sistema, e a quel punto l’impoverimento della qualità vale per tutti.

da Il Fatto Quotidiano del 7 maggio 2014

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