“La Sardegna è fuori dal tempo e dalla storia” scrisse David H. Lawrence nel 1921. Fosse ancora vivo e avesse desiderato raggiungerla via mare la prossima estate avrebbe aggiunto “fuori mercato”. Provare per credere. Famiglia base in partenza il 1 agosto 2014 da Genova direzione isola, due adulti e un bambino sotto i tre anni, cabina e auto al seguito: spesa effettiva 590 euro circa, che navighino con Moby Lines, Snav o Grandi Navi Veloci. La differenza di prezzo, quel “circa”, va dai 2 (Gnv) ai 7 (Moby) euro in più rispetto all’offerta minima. Tre settimane dopo, per tornare a casa, spenderebbero 675 euro, con differenze di offerta tra le compagnie che in questo caso toccano i centesimi di euro. Somma finale della spesa relativa al solo viaggio per la famiglia tipo: non meno di 1265 euro. 

Con variazioni così basse tra tariffe concorrenti – parliamo al massimo del 2% – possiamo parlare di “cartello” e invocare l’Antitrust? Probabilmente no e ce lo insegna l’ultima sentenza del Tar del Lazio che ha accolto i ricorsi di Moby, Marinvest e le due sue controllate Gnv e Snav, per bloccare le maxi multe – alla sola Moby 5,4 milioni – loro inflitte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel 2013 a contestazione di analoga situazione presentatasi nella celebre estate del 2011. Per l’Antitrust “né l’elasticità della domanda, né la trasparenza del mercato, né l’incremento del costo del carburante, né, infine, le perdite subite dagli operatori” potevano giustificare quella contestuale impennata dei prezzi.  

Il Tar non è stato di questo avviso, accogliendo di fatto le tesi contenute nel ricorso di Moby e Marinvest. Tesi tutt’altro che irrilevanti e capaci di rappresentare un punto di riferimento per ogni controversia futura. Cosa dicono i ricorsi approvati? Gli aumenti ci sono stati, è vero, ma con oscillazioni tra i prezzi praticati dalle compagnie che vanno dall’11 al 33% e questa è “la prova provata dell’autonomia delle parti”; inoltre “anche assumendo l’esistenza di un parallelismo delle condotte, questo non sarebbe anomalo” considerato che il settore del trasporto marittimo è gestito da un “sostanziale oligopolio”. Questa configurazione del mercato, sostengono i legali di Moby, porta ad una situazione dove “anche senza un preventivo accordo, quando un concorrente aumenta le sue tariffe, gli altri reagiscono aumentando a loro volta i prezzi praticati, per adeguare la propria struttura dei ricavi a quella dei costi, consapevoli che una concorrenza aggressiva innescherebbe immediatamente un’analoga reazione dei rivali che deprimerebbe gli utili”. Tradotto: siccome siamo pochi allora è inevitabile convergere verso certe tariffe che evidentemente sono necessarie al resistere su un mercato dove nessuno vuole rischiare una “concorrenza aggressiva”. Ma non si chiamerebbe “cartello” questo? A quanto pare no. Manca, sostiene la tesi dei legali della compagnia, la prova dell’accordo. Seguendo il ragionamento dei difensori questa prova sarà difficile trovarla anche perché in qualsiasi caso sarà possibile segnalare che questo convergere dei prezzi tra i concorrenti è sempre effetto inevitabile di un mercato oligopolistico.

Diamo un’occhiata all’Europa e vediamo, a titolo di comparazione, il costo per la tratta Nizza-Ajaccio, quasi le stesse miglia nautiche tra Genova e Porto Torres: a parità di offerta (partenza 1 agosto, 2 adulti e un bambino, con auto e cabina) è del 26% inferiore (-154 euro). E se provassimo a raggiungere la Sardegna da Barcellona? Stessa offerta, più lunga la navigazione, ci costerebbe 192 euro in meno (-32%) rispetto alla tratta da Genova con qualsiasi operatore. Evidentemente non c’è gara.

Effetto di un mercato oligopolistico italiano dove, al netto di ciò che è provabile, restano le conseguenze evidenti per il consumatore finale. E a rendere ancor più complicata la situazione ci si è messo di recente Vincenzo Onorato, il patron di Moby, che ha avviato un conflitto pubblico con gli altri soci con cui divide la proprietà della Compagnia Italiana di Navigazione, la società per azioni che rilevò la società pubblica Tirrenia nel 2011. Onorato, forte di alcuni patti parasociali, cerca da ormai due anni di fondere Moby e Cin – della quale Moby è socio di maggioranza al 40% – incontrando l’opposizione degli altri azionisti di minoranza e soprattutto dell’attuale amministratore delegato, Ettore Morace. Per eliminare gli ostacoli, a quanto pare, si è posto l’obiettivo di acquisire l’intero pacchetto azionario (35%) del Fondo Clessidra, un fondo di investimento che detiene anche il 32% di Moby.

A fornire i capitali, come scrive la rivista specializzata The Medi Telegraph, sembrano intervenire Unicredit e Monte dei Paschi di Siena, la prima già finanziatore dell’acquisizione di Tirrenia con una linea di credito molto rilevante. Qualora il disegno di Onorato sulla fusione Tirrenia-Moby si avverasse, l’armatore che passò indenne dal più grande disastro della marina civile italiana (quello del Moby Prince) poiché le sue responsabilità penali furono accertate a termini di prescrizione superati, avrà reso omogeneo l’oligopolio che ora governa il mercato del traffico marittimo tra continente e Sardegna. In quel caso Moby potrebbe esercitare la sua leadership per determinare un prezzo remunerativo per sé e gli altri competitor esistenti, che sia in grado di escludere qualsiasi ingresso a nuovi concorrenti. In “leggera” controtendenza con quanto indicato dall’Unione Europea.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Soros: “Grillo non va preso sul serio, è una prova della disperazione dei giovani”

next
Articolo Successivo

Caro traghetti, il Tar ribalta la sentenza Antitrust: “Tra armatori non c’è cartello”

next