Quest’oggi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso in tema di diritto all’oblio nei confronti di Google e dei cittadini dell’Unione e della loro privacy, quella che in gergo anglosassone viene chiamata una “Landmark decision”, ovvero una decisione storica a cui i successivi Tribunali dei singoli Paesi Membri devono attenersi. E si tratta di una decisione a sorpresa dal momento che la Corte ha ribaltato le conclusioni che qualche mese fa aveva invece depositato l’Avvocato generale presso la Corte. Il che accade nel 10% dei casi portati all’attenzione della Corte.
Google, dal canto suo, considerando anche che la sentenza è inappellabile, è apparsa quasi “intontita” del colpo inferto dal Tribunale ed ha subito rilevato con un comunicato stampa la singolarità del diverso avviso della Corte rispetto all’Avvocato generale. In estrema sintesi la Corte ha ritenuto che il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi.
“Così, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, può sollecitare le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati.”
Le conseguenze pratiche della sentenza non tarderanno ad arrivare. È presumibile che i cittadini dell’Unione si riverseranno in massa a chiedere la rimozione dei contenuti sgraditi da Google e che il gigante californiano dovrà necessariamente prendere in considerazione le richieste ai fini della cancellazione, diversamente da come sembra essere accaduto finora.
Naturalmente ci sono ragioni che sono a favore e quelle contro ad un simile risultato.
Va detto che sino ad oggi Google ha “elegantemente” dribblato le richieste di cancellazione di contenuti in grado di danneggiare la reputazione dei singoli cittadini concedendo direttamente tale cancellazione solo a fronte del provvedimento di un giudice o di un’autorità. L’unico caso di rimozione possibile senza i presupposti citati sembra essere quello del copyright. In quel caso la procedura di Notice and takedown americana, ovvero l’esistenza di uno scambio di comunicazioni tra Google e il titolare del sito linkato sul motore di ricerca segnalato per violazione di copyright e la successiva cancellazione in caso di risposte non convincenti, ha sempre protetto il motore di ricerca da conseguenze risarcitorie.
Google si richiama infatti alla norma americana del cosiddetto Digital Millenium Copyright Act, che prevede l’esenzione di responsabilità del motore di ricerca in caso lo stesso possa dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (ma solo per il copyright).
Per le richieste diverse da quelle relative al copyright (diffamazione, diritto all’oblio, violazione dei diritti della personalità) tale sistema invece non funziona. Il motivo formale per questa soluzione è che il motore di ricerca non possa effettuare un bilanciamento tra diritti (ad esempio quello tra diritto all’informazione e privacy) che spetta solo al Giudice. Bilanciamento in realtà tentato anche ab origine dalla Corte di Giustizia in casi particolari (ad esempio il dictum sottrae alla cancellazione la conservazione on line di risultati delle ricerche aventi preponderante interesse pubblico), che non possono godere delle condizioni stabilite dalla Corte.
In realtà qualche dubbio può destare la richiesta di cancellazione di trattamenti effettuati per scopi giornalistici.
Non si sa quale sia la discussione che si scatenerà sul dictum della Corte, in ogni caso la sentenza appare importante anche in relazione alle norme applicabili alle richieste di rimozione.
L’applicazione ai cittadini dell’Unione della norma molto garantista in tema di privacy dell’Unione Europea potrebbe vanificare i tentativi dei motori di ricerca di rifarsi alle norme meno garantiste degli Stati Uniti o a norme diverse a seconda del luogo di stabilimento di una o più società della galassia Google, stabilendo una volta per tutte che il trattamento dei dati avviene nel territorio dell’Unione e si applicano quindi i principi ivi stabiliti.
In ogni caso da oggi sarà molto più facile proteggere la propria reputazione sul web e richiedere la cancellazione delle informazioni che ci riguardano dai motori di ricerca.