L'azienda fino ai primi di maggio aveva dato la disponibilità per rinnovare la cig di almeno altri 3 mesi. Il tempo necessario per costituire una cooperativa che avrebbe permesso ai lavoratori di continuare. Poi il dietro front
Sono saliti sul tetto di mattina presto e da lì non si sono più mossi. Si sono seduti, hanno iniziato lo sciopero della fame, e non smetteranno nemmeno nei prossimi giorni. A 20 metri di altezza ci sono Onorato Ferdinando, Giancarlo Effice, Pierpaolo Cospolici, Pitton Giovanni, Mariano Lapiana, 5 lavoratori della Ideal Standard, l’azienda di ceramiche che lo scorso lunedì 5 maggio ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Orcenico di Zoppola, a Pordenone. Sono lassù dalle prime ore dell’alba e rimarranno lì anche la notte. “E’ simbolico, deve sentirsi chiaro il nostro grido di disperazione. Fino a pochi giorni prima del 2 maggio sembrava che ci fosse la possibilità della cassa in deroga – dice Franco Sartori, dell’Rsu di Ideal Standard, – domani decideremo sul da farsi, ma la situazione è gravissima. In questa azienda siamo in 450. Ci sono famiglie intere che lavorano qui. Quando verranno licenziati entrambi come faranno?”.
La trafila che racconta Sartori è complessa. Dice che l’azienda fino ai primi di maggio aveva dato la disponibilità per rinnovare la cassa integrazione in deroga, di almeno altri 3 mesi. Il tempo necessario per costituire una cooperativa che avrebbe permesso ai lavoratori di continuare. Poi, improvvisamente, marcia indietro. E l’avvio di procedure di mobilità per tutto lo stabilimento di Orcenico. Che tradotto significa per i 399 dipendenti della Ideal Standard industriale. “Quelli della Ideal Standard holding, una cinquantina, sono già in cassa integrazione – dice Sartori – ma sono impiegati, amministrativi, se chiudiamo noi sono a piedi anche loro”. Nella mattinata di martedì ci sarebbe dovuto essere un incontro fra governo, azienda è sindacati. E così è andata. Solo che a metà riunione i rappresentanti della Ideal Standard hanno deciso di abbandonare il tavolo.
“Un atteggiamento grave, immotivato e inaccettabile”, l’ha definito il vice ministro allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti. E anche il governo ha stigmatizzato la decisione di non ritirare la mobilità “attivata a sorpresa, contravvenendo a precedenti accordi” e la “scelta di abbandonare il tavolo”. Una tensione alla quale si è aggiunta anche la presidente Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che nelle scorse settimane aveva avuto diversi incontri coi lavoratori.
Il punto di non ritorno è cominciato una settimana fa, quando l’azienda ha annunciato la chiusura. La proprietà ha comunicato con una lettera di avere avviato le procedure di mobilità per 399 dei 450 dipendenti. Il piano avrebbe previsto che le attività di Orcenico fossero trasferite a Trichiana (Belluno) e assorbite dall’attuale organico. Allo studio però in quei giorni c’era la possibilità di una gestione cooperativa dello stabilimento. “Per noi è stato un colpo duro – dice Sartori – non ce l’aspettavamo. Avevamo pensato davvero che la strada della cooperativa fosse possibile, avevamo coinvolto le istituzioni, ci eravamo spesi. E invece nulla, ci hanno trattati così. Siamo in un territorio in cui fino a pochi anni fa non c’era nessun problema a trovare lavoro. Ora la gente non vede alternative e si aggrappa giustamente al poco che ha. Qui c’erano dipendenti bravi, ci chiamavano in tutta Europa per portare le nostre competenze. E ora siamo così, appesi ad un filo. Ma non molleremo”. A 20 metri d’altezza rimangono loro, stanotte. Gli altri li aspettano giù. Domani qualcuno darà loro il cambio.