L'associazione ambientalista presenta lo studio sul consumo di suolo. La crisi non ferma il mattone: 720 chilometri quadrati cementificati negli ultimi tre anni. Con qualità scarsa e senza risolvere il problema abitativo
E ancora cemento: 720 chilometri quadrati quelli spalmati in Italia negli ultimi tre anni che portano il Paese in testa alla classifica europea nella produzione e nel consumo del materiale. Il 30% del suolo cementificato è stato utilizzato per la costruzione di case che, probabilmente, rimarranno vuote. Sono infatti 2,7 milioni quelle disabitate nel Belpaese a fronte, tra l’altro, di 650mila famiglie che, per reddito, avrebbero diritto a un alloggio popolare. Questi i numeri contenuti nell’ultimo dossier di Legambiente, “Basta case vuote di carta”, che analizza il consumo di suolo nel Paese, mettendo il luce il fitto intreccio fra problematiche ambientali, economiche e sociali che girano intorno al ciclo del cemento.
Il filo conduttore del ragionamento dell’associazione ambientalista è chiaro: si continua a costruire mentre il numero di persone senza casa rimane alto. Stando al dossier di Legambiente il tasso di consumo di suolo negli anni ’50 era pari al 2,9%, mentre oggi è al 7,3% l’anno, con una crescita giornaliera di 0,7 chilometri quadrati, 255 chilometri quadrati all’anno, una volta e mezzo il Comune di Milano. L’Italia, in confronto agli altri paesi europei, spicca in negativo in una posizione nettamente peggiore di Regno Unito e Francia, decisamente lontano dai livelli della Spagna e vicina ai dati della Germania, che però conta una popolazione decisamente superiore. Lo stivale risulta, crisi o non crisi, tra i maggiori produttori e consumatori di cemento in Europa, con una media di oltre 432 chili pro capire di cemento per ogni cittadino a fronte di una media europea di 314. Questo in parte, fa notare Legambiente, è dovuto anche al fatto che continua a essere impossibile realizzare progetti ambiziosi di riqualificazione di aree degradate o dismesse, perché più facile ed economico costruire palazzi in aree agricole. E quindi si continua a costruire.
Dei 22mila chilometri quadrati urbanizzati in Italia, il 30% è occupato da edifici e capannoni. Sono circa 5,4 milioni le abitazioni realizzate negli ultimi 20 anni in Italia, a cui si aggiungono quasi 750mila costruzioni abusive. La curva di crescita delle costruzioni ha visto il suo picco nel 2005 e ora sta mostrando una progressiva flessione. In questi anni sono infatti crollate le compravendite ed è cresciuto l’invenduto, che se nel 2010 si “fermava” a 40mila abitazioni e nel 2013 è arrivato al numero record di 120mila.
Nonostante la valanga di costruzioni, tuttavia, denuncia Legambiente, rimane alto e quasi inspiegabile il disagio abitativo. Per quanto riguarda gli sfratti si tratta di un vero allarme: 67mila nel 2012 rispetto ai 52mila del 2008. Oltre 311.000 negli ultimi cinque anni. “Si è continuato a costruire senza soluzione di continuità migliaia di abitazioni – si legge nel dossier – che con una dinamica di prezzi che prescinde totalmente dai costi di costruzione hanno permesso di far guadagnare moltissimo proprio da una fame di case che non trova risposta”. Il motivo di tanto cemento “inutile”, secondo Legambiente, è da ricercare nella certezza del guadagno, “perché come tutti gli studi confermano – si legge – mettendo a confronto il periodo 1999-2009 investire sul mattone è risultato molto più vantaggioso che farlo in borsa”.
Ma il binomio cemento-casa nasconde un’altra faccia ancora: quella della bassa qualità degli immobili. “Non esistono controlli e sanzioni rispetto ai consumi delle abitazioni – scrive Legambiente – e quindi si condannano le famiglie a spendere migliaia di euro per case fredde d’inverno e calde d’estate. Malgrado dibattiti e impegni, ancora non è in vigore il libretto del fabbricato e non si hanno informazioni nemmeno per edifici in zone a rischio sismico e idrogeologico, o controlli mirati relativi ai materiali e alle tecniche di costruzione utilizzate”.