Giocano, corrono, passano molto tempo all’aria aperta. Il loro metabolismo accelerato li espone più degli adulti ai rischi legati all’inquinamento ambientale, inclusi i tumori. Tanto che quelli che crescono vicino alle aree contaminate, già nel primo anno di vita, hanno un rischio di morte per tutte le cause più alto del 4%. Ma non ne sappiamo molto di più. Perché l’Italia gravida di veleni e sprechi, fatalmente, si è dimenticata i suoi figli. E per poche centinaia di migliaia di euro. Suona incredibile, ma è così: giace da un anno, in un cassetto dell’Istituto superiore di Sanità, il primo progetto di studio epidemiologico dedicato ai bambini che vivono nelle aree compromesse dalle discariche e dai fumi delle industrie disseminate lungo lo Stivale. Costerebbe si e no 350mila euro e tuttavia “il progetto non ha finora ricevuto finanziamenti ad hoc”. Lo si legge nel nuovo rapporto “Sentieri”, lo studio epidemiologico sui siti inquinati di interesse nazionale (Sin) finanziato dal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di Sanità. E’ il terzo rapporto ed è stato appena pubblicato, un po’ in sordina rispetto alle altre edizioni, sul sito dell’associazione degli epidemiologi. Il settimo capitolo affronta questo tema – poco esplorato, delicatissimo e ora anche imbarazzante – dei rischi per la salute infantile tra i residenti in aree contaminate.

Dalla Caffaro di Brescia a Taranto, dal Polo chimico di Mantova alla Ferriera di Trieste, all’ex stabilimento Ethernit di Siracusa si sa che sono cinque milioni gli italiani che vivono in uno dei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin). Un quinto, circa milione, sono bimbi e ragazzi sotto i 20 anni di età e rappresentano la fascia di popolazione più fragile ed esposta all’inquinamento ambientale. E tuttavia per il Paese della Terra dei Fuochi è come se non esistessero affatto. La strage degli innocenti finora è stata raccontata da lontano, attraverso serie statistiche su tutta la popolazione e dunque mantenendosi sulla superficie rispetto al problema specifico dei bambini. Su di loro grava un buco informativo che arriva da lontano. Basti dire che ancora oggi “ai pronto soccorso, anche nelle zone ufficialmente riconosciute come compromesse come Taranto, non c’è un sistema automatizzato di registrazione degli accessi dei bambini per causa”, spiega Roberta Pirastu, docente alla Sapienza e curatrice del rapporto Sentieri. Significa che se un minore sta male perché intossicato dai fumi di un’industria, viene certo trattato dalla struttura sanitaria, ma il dato di quell’accesso con le cause probabili si perde e non contribuisce alla conoscenza, al monitoraggio e alla valutazione delle ricadute da esposizione ai siti contaminati. Così gli innocenti, quando sono malati, diventano fantasmi.

Il problema della sottostima di queste conoscenze è ben noto agli esperti italiani di epidemiologia. Un anno fa, il 27 marzo del 2013, il tema è stato anche dibattuto in un work-shop tecnico-scientifico organizzato dal Dipartimento ambiente e prevenzione primaria (Ampp) dell’Iss. Il titolo era già di per sé emblematico: “Tumori infantili nei siti contaminati”. In quell’occasione, sono state descritte le evidenze epidemiologiche disponibili sui fattori di rischio ambientale per l’insorgenza dei tumori infantili, e sono stati presentati i dati sull’incidenza in Italia in 23 dei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche coperti dalla Rete dei registri tumori (Airtum). E cosa dicono? Che su un periodo di 10 anni (1996-2005), in questi siti contaminati, sono stati registrati circa 700 casi di tumori maligni tra i ragazzi di età compresa tra 0 e 19 anni (più di 1.000 casi includendo anche i giovani adulti, 0-24 anni). Con picchi nelle realtà più compromesse della mappa dei veleni: a Massa Carrara, area interessata dal siderurgico e petrolchimico, le esposizioni agli inquinanti hanno portato a un eccesso di mortalità del 25% nei bambini sotto l’anno di vita e del 48% in quelli da 0 a 14 anni. A Taranto gli stessi valori sono superiori del 21% e del 24%, a Mantova – tra industrie mettallurgiche e cartarie, petrolchimico e discariche e area portuale – addirittura del 64 e 23%. L’aumento della mortalità infantile per tutte le cause si osserva anche a Biancavilla, Broni e Casale Monferrato, siti caratterizzati da contaminazione ambientale da amianto o altre fibre minerali.

Gli epidemiologi sanno da tempo che i dati sulla mortalità sono solo la superficie. Mancano “ulteriori analisi necessarie a pervenire a stime di incidenza specifiche per sede, classi di età e genere” si legge ancora nel Rapporto Sentieri 2014. “In età infantile – spiega la Pirastu – i tumori sono eventi ancora rari e caratterizzati da forte sopravvivenza”. I soli decessi, in altre parole, non possono essere presi come fonte esaustiva per la valutazione dei profili di rischio, a maggior ragione nei bambini. Questo limite viene evidenziato già nel 2010 quando, proprio in Italia, arrivano i ministri dell’Ambiente e della Salute di 53 Stati della Regione europea Oms. Convergono a Parma per la quinta conferenza internazionale su “Ambiente e Salute”: sul tavolo la questione della tutela dei bambini esposti ai rischi ambientali, sullo sfondo lo scenario di una nazione sempre più compromessa da emergenza rifiuti, discariche abusive, industrie chimiche sotto processo. Nella dichiarazione finale i governi si impegnano a ridurre entro i successivi dieci anni gli impatti dell’ambiente sulla salute, e a intensificare gli sforzi per dare attuazione agli impegni stabiliti nel “Piano di azione europeo per l’ambiente e la salute dei bambini” (Cehape). Che vuol dire, per ogni Stato, fare uno sforzo straordinario e specifico sulla tutela della salute infantile.

Ma in Italia la strada è in salita e l’impegno, alla fine, sarà disatteso. Certo, per avere più informazioni si potrebbe iniziare a incrociare i dati disponibili come la mortalità con altri, come l’incidenza dei ricoveri per malattie respiratorie. Prende forma tra gli epidemiologici dell’ISS l’idea di realizzare un primo studio specifico sui bambini che, attraverso la sovrapposizione di più banche dati, possa fornire un quadro conoscitivo approfondito dello stato di salute dei soggetti più esposti a pressione ambientale. Per la prima volta viene proposto allora un approccio di analisi “multiesito” e multidisciplinare basato sui flussi informativi sanitari di mortalità, ricoveri ospedalieri e incidenza neoplastica. Diversi i soggetti da coinvolgere a partire dall’ISS, l’Associazione italiana dei registri tumori, quella degli Ematologi e oncologi pediatri, le istituzioni regionali. Il tutto porterebbe a istituire una sorta di “sistema di osservazione permanente” dello stato di salute dei bambini che risiedono nelle aree fortemente inquinate. Dati utili anche a suggerire interventi di prevenzione primaria e monitorarne poi l’efficacia.

Il progetto, nonostante la sua complessità, ha costi molto ragionevoli: realizzarlo comporterebbe una spesa intorno 350mila euro per sostenere gruppi di lavoro, attività di ricerca e riunioni con i soggetti coinvolti. Briciole rispetto ai costi delle bonifiche (quando ci sono) e a quelli sanitari dovuti alla mancata prevenzione del rischio sulla popolazione più vulnerabile. Una goccia nel mare, poi, rispetto ai 250 milioni di euro che nel bilancio del Ministero della sanità vanno sotto la voce “tutela della salute pubblica”. “Sentieri Kids” viene allora sottoposto, con forti aspettative, a richiesta di finanziamento da parte del Centro controllo delle malattie (CCM). E’ l’organismo nazionale di coordinamento tra il Ministero e le Regioni per le attività di sorveglianza, prevenzione risposta alle emergenze. Istituito nel 2004, il CCM ogni predispone un Piano nazionale di prevenzione (Pnp) per finanziare progetti di ricerca sanitaria. A novembre il comitato scientifico si riunisce e seleziona per punteggio 32 progetti sui 292 pervenuti da vari organismi sanitari e avvia le procedure amministrative per la stipula degli accordi di collaborazione e di finanziamento. Passa lo studio della sigaretta elettronica, un vizio degli adulti allora in pieno boom (415mila euro). Passa il “Piano di monitoraggio e di intervento per l’ottimizzazione della valutazione e gestione dello stress lavoro correlato” proposto da Inal (480mila euro). Nel settore epidemiologico, disco verde la ricerca finalizzata sui residenti nei siti contaminati di Taranto (450mila euro). Ma quello proposto dagli epidemiologi su tutti i bambini dell’Italia dei veleni non trova posto. Il motivo, probabilmente, è da ricercare nel calo della dote per il Pnp: nel 2013 è stata di 10,7 milioni di euro, in picchiata rispetto ai 13 milioni che nel 2012 hanno permesso di finanziare nove progetti in più. 

“Finora, in effetti, non abbiamo avuto fortuna”, si limitano a dire i proponenti. “Abbiamo avuto momento di gloria nel 2006-2007 con la ricerca finalizzata, poi nel 2009 col Ccm e adesso fatichiamo un po’ ma non demordiamo, stiamo continuando a fare richieste”. Anche perché i bambini sono “segnali spia” per fenomeni che investono tutta la popolazione. “Fare prevenzione per bambini significa farla anche per gli adulti. E con pochi soldi avremmo avuto a disposizione una messe di dati importantissimi”. Il punto è che da allora sono passati 10 mesi scanditi e segnati dall’emergenza ambientale, dalle inchieste (Taranto, Brindisi, Vado Ligure…) e da una legge che a febbraio prende il nome della Terra dei Fuochi e promette di punire l’illecita combustione dei rifiuti, di spingere sulle bonifiche, di garantire screening sanitari gratuiti per i residenti nelle aree contaminate della Campania. Cose importanti, certo. E tuttavia non un rigo, non un euro, per i bambini d’Italia che giocano tra i veleni ricevuti in eredità dagli adulti.

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