L’ombra della criminalità organizzata si allunga sulla Banca di credito cooperativo di Terra d’Otranto. Fino al pomeriggio inoltrato di martedì 13 maggio i carabinieri del Ros di Lecce e quelli della compagnia di Campi Salentina hanno perquisito la sede leccese dell’istituto di credito, notificando alla direzione generale il decreto di sequestro di documentazione cartacea e informatica. Sono stati portati via atti relativi alle recenti elezioni per il rinnovo del cda dell’istituto bancario e computer. Con loro, sul posto, anche il pm Carmen Ruggiero, titolare dell’inchiesta per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Nel mirino ci sono le presunte irregolarità nel recente rinnovo del consiglio di amministrazione: secondo gli inquirenti, alcuni soci hanno subìto pressioni da parte di persone già condannate per reati simili e vicine al clan Tornese di Monteroni. Lo scenario, però, si amplia anche ad atti di intimidazione e altre indagini che chiamano in causa amministratori locali. L’accusa è pesante, tanto da richiedere l’intervento della Direzione distrettuale antimafia. Gli accertamenti viaggiano lungo un duplice binario. Da un lato, c’è l’estorsione che sarebbe stata effettuata per il tramite di esponenti di uno dei gruppi di punta della Sacra Corona Unita. Episodi già documentati, stando a quanto riferiscono fonti accreditate a ilfattoquotidiano.it. Dall’altro c’è la strada che gli inquirenti stanno battendo e che è ancora tutta da dimostrare, vale a dire quella dell’agevolazione che il sodalizio criminale potrebbe aver ricevuto.
Non si conoscono ancora il nome e il numero delle persone iscritte nel registro degli indagati. Il riserbo è massimo anche perché di mezzo c’è una banca che conta 1.950 soci e quasi sessant’anni di storia. L’ipotesi di reato contestata, però, è di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso, prevista dall’articolo 7 della legge antimafia del 1991. La lente del Ros salentino, guidato dal colonnello Paolo Vincenzoni, assieme a quella dei militari di Campi, al comando del maggiore Nicola Fasciano, è puntata sulle operazioni di voto per il rinnovo delle cariche sociali. Che si sono tenute domenica 4 maggio in un hotel di Lecce e hanno decretato la riconferma del presidente uscente, Dino Mazzotta, che ha collezionato 1.147 preferenze contro le 525 dell’altro candidato, Giulio Ferrieri Caputi. Un risultato schiacciante, ma il sospetto è che sia stato, in qualche modo, pilotato. A quei numeri si è giunti dopo una vera e propria campagna elettorale caratterizzata da tensioni neanche tanto velate, sfociate in un esposto presentato alle autorità competenti. «Ho fatto presente che alcuni candidati della mia lista erano stati avvicinati da persone poco raccomandabili, che avevano “suggerito” loro di star lontani dalle urne», dice Ferrieri Caputi. «Siamo all’inverosimile – replica Mazzotta – e ci sembra di stare su “Scherzi a parte”. È un’accusa assurda, infamante».
Quella denuncia, in realtà, è solo l’ultimo tassello del puzzle molto più complesso e intricato che le indagini stanno ricostruendo da tempo, con fatica. Solo alcuni punti sono fermi, mentre resta il silenzio su quale sia il filo rosso che li collega tutti. Il primo è il messaggio inquietante recapitato a Giancarlo Mazzotta, sindaco di Carmiano e ora anche esponente di punta del Nuovo Centrodestra, fratello dell’attuale presidente del cda della Bcc di Terra d’Otranto e imprenditore turistico. Il 19 agosto 2011, la testa mozzata di un maiale venne lasciata davanti al cancello della sua abitazione. Il secondo nodo è costituito da tre attentati dinamitardi messi a segno, nel 2012, a Porto Cesareo ai danni del sindaco Salvatore Albano e di un noto ingegnere del posto. Nell’ambito di quest’ultima inchiesta, di cui è titolare sempre il pm Carmen Ruggiero, sono due gli indagati per estorsione aggravata da modalità mafiose. Ad essere stati ascoltati come persone informate sui fatti, qualche settimana fa, anche Giancarlo Mazzotta e un altro fratello, Pierluigi. L’attenzione degli investigatori si concentra sui possibili appetiti imprenditoriali relativi a un terreno fronte mare confiscato proprio al clan Tornese un decennio fa. Episodi all’apparenza scollegati tra loro. In che modo si incastrino è ciò che le indagini stanno provando a spiegare.