Due anni fa l’onta del carcere, ora i meno afflittivi arresti domiciliari. Il nuovo provvedimento cautelare per il re delle mozzarelle di bufala Giuseppe Mandara segue la scia di accuse già contestate in passato: ed in particolare quella di aver costruito il proprio impero imprenditoriale a Mondragone (Caserta) grazie ai finanziamenti del clan La Torre, e alla confidenza con Augusto La Torre, che lo avrebbe accompagnato negli investimenti e nella crescita dell’azienda: l’inchiesta è farcita dei verbali del boss, resi da collaboratore di giustizia.
Ma ora i pm della Dda di Napoli Alessandro Milita e Catello Maresca, coadiuvati dal lavoro investigativo della Dia partenopea diretta da Giuseppe Linares, collegano Mandara a uno degli episodi più bui della cronaca degli anni ’90 nel casertano: la scomparsa di Antonio Nugnes, assessore e vice sindaco di Mondragone vittima di lupara bianca camorristica l’11 luglio del 1990 dopo essere scampato a un agguato tre anni prima. La tesi degli inquirenti, condivisa dal Gip Alberto Capuano in alcuni passaggi delle 386 pagine dell’ordinanza notificata stamane all’alba, è che Mandara abbia provato a depistare le vecchie indagini della Criminalpol diffondendo una notizia su un possibile movente ‘passionale’ attraverso alcune confidenze, rivelatesi fasulle, comunicate sia agli inquirenti che alle figlie dell’allevatore scomparso (Nugnes aveva un’azienda bufalina ed era uno dei fornitori di Mandara).
Mandara, in particolare, riferì alla Criminalpol che qualche anno prima della scomparsa Nugnes gli avrebbe chiesto un prestito di 20 milioni di lire perché doveva “riparare a un incidente di natura sessuale con la figlia di un colono”, un modo per dire che aveva messo incinta una ragazza e forse voleva aiutarla ad abortire. Circostanze prive di riscontro e di fondamento, è bene ribadirlo. Nel frattempo Mandara disse alle figlie di Nugnes di stare tranquille, che probabilmente il padre non era stato ucciso, era scappato con un’altra donna.
Una di quelle ragazze oggi è una signora che ha seguito le orme del padre in politica ed ha fatto carriera fino a diventare assessore alle Politiche Agricole della Regione Campania. Si chiama Daniela Nugnes e secondo il Gip è colei che fornisce le dichiarazioni più precise sulla vicenda.
Ascoltata il 6 novembre 2012, Daniela Nugnes verbalizza: “Mandara riferì a mio cognato Pasquale, marito di Emilia, che mio padre probabilmente era scappato con una donna, e come ulteriore pista, aveva indicato che mio padre aveva avuto problemi con qualche ragazza, il cui padre si era potuto arrabbiare, vendicandosi”. “Non ho mai creduto possibile che mio padre potesse confidarsi con Mandara su un fatto di tale rilevanza – aggiunge – ma eravamo in condizioni disperate e ci si attaccava a tutto e dunque un’informazione di questo tipo poteva essere sostenibile. Perciò fu riferita agli investigatori… L’azienda bufalina cessò i rapporti con Mandara poco dopo la scomparsa di mio padre. Non voleva pagare il latte con delle scuse, dicendo che non era ‘buono’. Era un modo per metterci alle strette e farci vendere tutto”.
Le due sorelle dell’assessore regionale, interrogate lo stesso giorno, ribadiscono e anzi precisano: ebbero modo di ascoltare direttamente da Mandara l’ipotesi che il padre fosse scappato con la presunta amante.
Il 5 aprile 2013 Daniela Nugnes torna spontaneamente dal pm perché preoccupata da uno strano episodio. Stefano Bianchi di Servizio Pubblico è in giro per il casertano per costruire un servizio televisivo sui problemi e le inchieste che stanno attraversando il mondo della produzione della mozzarella di bufala. Prova a recarsi nell’azienda di Mandara ma al caseificio gli rispondono di andare presso “l’azienda bufalina dell’onorevole”, attribuendola all’assessore regionale che è invece estranea alla gestione dell’azienda, “peraltro ridotta ai minimi termini, una trentina di bufale al più”, e amministrata da una sorella. Bianchi in effetti raggiunge Daniela Nugnes tramite l’ufficio stampa. E poi riferisce il modo in cui si è stabilito il contatto. “Visti i precedenti mi sono inquietata perché ho ritenuto potesse trattarsi di una sorta di ritorsione”.