Il diritto all’oblio sulla Rete è una baggianata inapplicabile, roba da impiegati del catasto 2.0 travestiti da giudici di una qualche stravagante corte europea senza la minima aderenza con la realtà, sol per titillare quell’antro inesplorato del diritto alla privacy il cui destino andrebbe tutelato da comportamenti virtuosi e buone leggi, prima che da tecnologie senz’anima e cuore che ora invece dovrebbero armarsi di bacchetta magica e provvedere all’inimmaginabile polverizzazione del nostro passato.
Fatto sta che l’altro giorno sarebbe successo qualcosa di decisamente rivoluzionario, se solo fosse serio, quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europa, una sorta di Tar continentale, ha accolto il ricorso di un avvocato spagnolo, Mario Costeja Gonzaels, stabilendo che un cittadino della comunità ha diritto di chiedere ai motori di ricerca la sparizione di sé riguardo a “contenuti non più rilevanti” della sua esistenza
Qui si aprirebbe il primo dibattito epocale: cosa consideriamo “contenuto non più rilevante” della nostra vita, ma soprattutto, cosa considerano gli altri dei fatti medesimi, che noi vorremmo ridurre a eterea spuma come fosse un meraviglioso piatto della cucina molecolare di Ferran Adrià? Nel caso dell’avvocato in questione era la vendita di una casa avvenuta sedici anni prima, evidentemente per difficoltà economiche, una vicenda a cui, sedici anni più tardi e con il ritrovato benessere, l’interessato intendeva mettere la parola fine, atto ufficiale che avrebbe reso per sempre “ex” quella vergogna.
Quindi non una falsità scolpita nell’impietosissima Rete, ma una condizione umana da ritrovare, un onore da ristabilire, una resa dei conti con un passato doloroso a cui dare un taglio eterno. Attraverso Google. Ma che ne può un freddissimo motore di ricerca delle nostre debolezze, e non è oscena modificazione antropologica affidare alla tecnologia la rinnovazione dei nostri sentimenti, il nascere di una possibile seconda vita, il riscatto umano di fronte alla società benpensante?
E sin qui le cose del cuore e dell’anima. Ma chi giudicherà “contenuti non più rilevanti” le nostre equivoche frequentazioni del passato, che magari vogliamo sotterrare sotto una coltre di oblio (mettiamo che io abbia frequentato la bocciofila di Gianstefano Frigerio, dove tra un “accosto” e l’altro il buon Gian raccontava a noi anziani le sue prodezze), chi potrà ergersi a giudice naturale delle nostre perversioni, di errori giovanili, di ignobiltà metropolitane come fare in bicicletta il pelo alle vecchiette sui marciapiedi della città, chi insomma ripescherà alla ruota della fortuna le nostre nefandezze per esibirle l’ultima volta e poi farle sparire per sempre?
E poi lo sapete bene che in Rete nulla sparisce e tutto (ri)torna. Anche quando terribili giudici delle nostre magagne dovessero sentenziare l’immediata sparizione dei peccati da tutte le piattaforme, affidando a migliaia e migliaia di spazzini internettiani questa megagalattica raccolta differenziata, ci sarebbe sempre un bambino che dalla sua playstation, collegata in Rete, smutanderebbe il Re. E lo stesso, purtroppo, sarebbe nella condizione contraria, quella di sbianchettare le falsità sul conto di una persona perbene. È la Rete bellezza, nel bene e nel male.
Quanto alla grandezza della Rete, unico ammasso di ingranaggi cui ormai affidiamo la nostra memoria, memorabile – appunto – fu il tentativo di polverizzare il filmato di quel direttore di Telecom, tal Luciani, che per spronare i dipendenti li invitò a seguire le orme di Napoleone, che secondo lui a Waterloo aveva bastonato senza pietà i suoi avversari. Per qualche ora (a opera di Telecom, di Luciani stesso?) il filmato sparì. Ma poi, a beneficio di spettatori non-paganti, sapienti custodi della rete lo fecero riaffiorare. E ora sta serenamente nella biblioteca dei saperi.