Ibrahimovic, Handanovic, Ilicic hanno scelto altre nazionali. Chi è rimasto (Pjanic, Lulic, Dzeko, Ibisevic) porterà Sarajevo per la prima volta nella kermesse iridata. In panca un mito del calcio europeo. Che ha chiesto ai suoi giocatori: "Prima delle partite niente sesso, piuttosto masturbatevi"
Avesse dato peso al patronimico, il figlio di Abramo ora sarebbe ai Mondiali. Si sarebbe risparmiato le ironie brasiliane e ci avrebbe risparmiato un Mondiale che è poca cosa. Ma Zlatan Ibrahimovic, figlio di Sefik da Bijeljina, a suo tempo ha scelto la Svezia e guarderà da casa le avventure dell’unica squadra esordiente di questi mondiali. La Bosnia è un collettivo nato in esilio e tra le macerie. Mentre i mortai sventravano Mostar e Sarajevo e mister Susic donava a Parigi gli ultimi anni di una straordinaria carriera, una generazione di talenti dava i primi calci a un pallone. Alcuni come Ibra, Handanovic o Ilicic hanno scelto la nazionale dell’altro genitore o la terra che li ha adottati.
Chi è rimasto, assieme a chi è tornato, ha dato vita a una squadra competitiva in ogni reparto. Ognuno porta ai Mondiali la sua storia personale: le famiglie di Salihovic e Misimovic trovarono rifugio dal conflitto in Germania, il romanista Pjanic è cresciuto in Lussemburgo e Ibisevic negli Stati Uniti, mentre Lulic ha raggiunto la Svizzera solo a guerra terminata. Chi l’ha vissuta tutta è il bomber del City Edin Dzeko che più volte ha raccontato della sua infanzia a Sarajevo e delle bombe che sentiva sibilare sopra la sua testa. Era il 1992 quando Haris Medunjanin abbandonava la capitale bosniaca. Aveva sette anni e sua madre mise lui e la sorella su un treno per il nord Europa. Il padre non riuscì a partire e pochi giorni dopo rimase ucciso. Haris ha vissuto in Olanda fino al 2008, perché nel frattempo è diventato un calciatore professionista. Con i suoi 188 centimetri è un centrocampista atipico, sempre pericoloso in zona gol. Gioca prima nell’Az, poi allo Sparta Rotterdam e vince gli Europei Under21 del 2007 in maglia orange. La finale è contro la Serbia.
Nel 2009 la Fifa modifica le regole: i calciatori con doppio passaporto possono cambiare nazionale anche se hanno già giocato con la maglia di un altro paese a livello giovanile. Medunjanin è tra i primi a fare richiesta. In tutta fretta ottiene il permesso per scendere in campo contro il Portogallo nello spareggio che dà accesso a Sud Africa 2010. La Bosnia perde e dovrà attendere ancora quattro anni per coronare il sogno mondiale. Medunjanin, che nel frattempo si è trasferito in Turchia, sarà una delle colonne della mediana di mister Safet Susic. Molti dei meriti dell’impresa vanno riconosciuti a questa leggenda del calcio balcanico. Pape Susic nasce 59 anni fa a Zavidovici, in mezzo alla Bosnia. Per tutti gli anni ’70 milita nel Sarajevo, dove fa faville. Nel 1982 si trasferisce al Paris Saint Germain, la squadra di quell’Ibrahimovic che non ha mai potuto allenare. Qui trascorre nove anni e realizza gol a grappoli: per France Football è il più grande nella storia dei parigini davanti a gente come Weah e Ronaldinho.
Con la nazionale jugoslava gioca 54 partite e segna 21 gol. A Italia ‘90 è ancora in campo con i ragazzi di Belgrado, tre anni dopo, ormai quasi quarantenne, festeggia il primo storico match della nazionale bosniaca. In questi giorni si parla di lui soprattutto per aver convocato il nipote Tino Sven e per la richiesta ai suoi atleti di evitare il sesso in Brasile e piuttosto dedicarsi alla masturbazione. Forse i media farebbero bene a prestare maggiore attenzione ad altre dichiarazioni del ct: “La Bosnia è lacerata da anni di guerra e dalle difficoltà economiche – ha detto in un’intervista a World Sport – Noi vogliamo unire il popolo: è straordinario vedere gente che proviene da etnie diverse assieme a tifare per i nostri colori. Andiamo in Brasile e facciamo bene per il nostro paese”. Con queste motivazioni varrà la pena non sottovalutare mai i ragazzi di mister Susic.