Negli ultimi 40 anni, 75 aziende di dimensioni medio-piccole sono riuscite a crescere fino a diventare aziende globali con centinaia di milioni, se non addirittura miliardi di dollari di fatturato*. No, non sono italiane. Sono israeliane. Domande: perché e come hanno fatto? Vale solo per loro oppure c’è da imparare? Cosa c’è da imparare? Il perché è presto detto. Il mercato domestico era troppo piccolo per le loro ambizioni e non potevano fare altro che andare all’estero. Vale anche per le imprese italiane…
Cercare nuovi mercati significa trovarsi di fronte due avversari: le grandi aziende multinazionali con la loro taglia, economie di scala, marchi consolidati e risorse formidabili; e le imprese locali, con la loro comprensione dei bisogni dei consumatori, conoscenza delle norme e ordinamenti nazionali, stretta relazione con fornitori, distributori e venditori. Ogni tanto anche con i decisori pubblici.
Analizzando i 75 casi di cui sopra, si scopre che al centro delle strategie di crescita c’è la ricerca di opportunità che si trovano in uno spazio di mercato che si posiziona fra ciò che le grandi imprese considerano d’interesse e quello che le aziende locali ritengono fattibile. Strategie buone anche per le Pmi italiane…
Perché un’opportunità in questo spazio sia tale occorre che, per un tempo sufficiente lungo, indispensabile per stabilire una posizione difendibile, sia considerata non interessante dai giganti delle multinazionali. Ciò si verifica quando il potenziale del mercato è troppo basso per soddisfare gli obiettivi di crescita della multinazionale, quando si ritiene che il prodotto adattato non risponde alle specifiche di immagine globale del marchio e quando è troppo costoso farlo per soddisfare le richieste specifiche del mercato locale e si preferisce vendere soluzioni generiche o integrate. Le multinazionali poi non brillano per la pazienza, di solito hanno fretta e non s’imbarcano in progetti a lungo termine. Quattro anni è già tanto. Spesso troppo.
Perché l’opportunità di cui sopra sia tale, occorre anche che le aziende indigene presentino uno svantaggio competitivo rispetto al nuovo ingresso. Ciò accade se i locali utilizzano tecnologia più vecchia e meno valida; se i loro processi o pratiche sono significativamente più deboli; se possono avere accesso solo a risorse finanziarie limitate, compresi i finanziamenti pubblici agevolati; se le regolamentazioni locali non forniscono un trattamento privilegiato.
Una volta identificata una terra di mezzo interessante, il passo successivo è prenderne il controllo. Tre sono le strategie che possono essere utilizzate, singolarmente o in combinazione fra loro: evitare i giganti, mimetizzarsi da indigeno, individuare i punti deboli. Strategie buone anche per le Pmi italiane.
Quando i competitori particolarmente pericolosi sono le grandi imprese, i giganti, saggezza suggerisce di non svegliarli. La strategia “evitare i giganti” si applica a situazioni nelle quali i grandi attori non possono servire in modo efficace segmenti di nicchia e dunque scelgono di ignorarli. Occorre individuarli e interagire con i soggetti presenti nella nicchia. Di solito non sono clienti dei giganti che non sono in grado di soddisfare, con i loro prodotti e servizi, i loro bisogni in modo adeguato. Rappresentano segmenti troppo piccoli per interessare i giganti, ma diventano un’opportunità, se adeguatamente collegati fra loro, che le Pmi locali non riescono a cogliere perché la loro tecnologia è obsoleta, sono meno efficaci nella produzione, meno efficienti nelle operazioni. Semplice, no?
Se i competitori sono le aziende locali, la strategia è mimetizzarsi per apparire come uno di loro, ben sapendo di essere migliori. Con molta calma, pezzo dopo pezzo, si conquistano quote di mercato fino a diventare leader. Con calma e con pazienza si riesce sempre.
Terza strategia possibile: individuare un punto debole tanto dei giganti che degli indigeni, ovvero un piccolo, ben definito, sottoinsieme del problema dove offrire una soluzione che sia migliore di quella tanto delle multinazionali, quanto dei locali. La strategia dei punti deboli è rilevante per servire i grandi clienti quando i giganti forniscono solo una soluzione in “taglia unica”, buona per tutti. In questo caso occorre selezionare il mercato dove i giganti offrono piattaforme diversificate o applicazioni integrate, concentrandosi invece sull’acquisizione di maggiori informazioni sui bisogni dei clienti per una specifica applicazione o componente che i giganti o gli indigeni forniscono loro, per sviluppare una superiorità nel soddisfare i bisogni espressi. Strategie buone anche per le Pmi italiane.
Una volta conquistata la terra di mezzo, il gioco non è certo finito, anche perché sorgono due nuove sfide. La prima è capire se, quando e come uscire dalla conquistata terra di mezzo per cercarne altre. La seconda è che inevitabilmente, presto o tardi, il conflitto si scatena.
Il primo problema si presenta quando l’azienda decide, per alimentare la sua crescita nel tempo, di avventurarsi in nuovi segmenti per conquistare nuovi clienti o per sviluppare l’offerta per i clienti esistenti. In entrambi i casi servono ricerca e sviluppo, capacità di marketing e l’accettazione di sostanziali rischi. Logico affermare che la probabilità di successo cresce in modo sostanziale se il nuovo spazio di attività individuato è provvisto anch’esso di una terra di mezzo da potere occupare e se la credibilità acquisita può essere utilizzata in modo proficuo.
Quando una piccola o media azienda “straniera” entra in una terra di mezzo e inizia a sviluppare attività di successo, la bomba a tempo inizia a ticchettare. Presto o tardi i giganti si rendono conto che c’è qualcuno che sta cogliendo una nuova opportunità e decidono di farla propria. Anche gli indigeni si accorgono che c’è un intruso e corrono ai ripari, magari copiando quanto possono copiare.
Mai riposarsi sugli allori dunque. La compiacenza porta solo catastrofi. Occorre sempre e continuamente rafforzare le proprie posizioni, faticosamente conquistate: acquisizioni, innovazione, diversificazione dell’offerta, estensione del portafoglio prodotti, sono le leve da utilizzare.
Andare all’estero è indispensabile per crescere, ma non è facile. Ci sono ostacoli ovunque: assumere le persone giuste, trovare le risorse finanziarie, costruire canali per servire mercati nuovi, entrare in alleanze e associazioni d’impresa, apprendere e sapere mediare culture diverse, tanto lavoro.
Se però si ha lo spirito imprenditoriale giusto, una corretta dose di umiltà, capacità di pensiero strategico e di esecuzione attenta, le piccole-medie imprese possono riuscire e diventare i giganti di domani. Anche le Pmi italiane, se solo la piantassimo con il mugugno.
* Commento ispirato pesantemente dalla lettura di: “Right Up the Middle: How Israeli Firms Go Global” di Jonathan Friedrich, Amit Noam e Elie Ofek; Harvard Business Review Maggio 2014