Questa sera si terrà per la prima volta un dibattito tra candidati alla carica di presidente della Commissione europea. Il voto per il parlamento, l’unico organo elettivo della struttura istituzionale dell’Unione, comincia tra una settimana esatta in Gran Bretagna e Paesi Bassi – dove si vota il 22 – e finisce in Italia, l’ultimo dei 28 Paesi a chiudere i seggi alle 23 di domenica 25. Il dibattito, che sarà trasmesso in Italia da Rai News 24, rappresenta sicuramente un salto di qualità nello stantìo panorama politico europeo. Per la prima volta cinque politici ci mettono la faccia e si confrontano sul futuro dell’Unione. Considerando che votiamo per il parlamento dal 1979 è un progresso, sebbene tardivo. A vedere da come se ne parla, e dall’attesa quasi messianica che si respira nei corridoi delle istituzioni a Bruxelles, sembra quasi che la visibilità mediatica sia chiamata a salvare un’Europa in crisi di identità e di consensi.
Tuttavia ci sono due grandi “ma” da tenere in considerazione. Il primo le candidature di Shulz, Junker, Keller, Verhofstadt e Tipras sono sì in linea con il Trattato di Lisbona, ma è altrettanto vero che non è previsto da nessuna parte che il presidente della commissione debba essere espressione della maggioranza politica. Il Trattato di Lisbona all’articolo 17 comma 7 chiarisce la procedura, che è abbastanza complicata e sicuramente non diretta: “Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono…”
Dunque, il Consiglio (ovvero i 28 Stati membri: Germania, Francia, Italia ecc) propone il presidente, giusto tenendo conto del risultato delle elezioni, ma poi fa quello che vuole. Ed è quello che ha fatto capire Angela Merkel : “dopo le elezioni non c’è fretta” per nominare la Commissione e il suo presidente. Oppure quello che ha lasciato capire David Cameron per bocca del suo sottosegretario agli Affari europei David Lingdon: “Meglio un uomo capace” (piuttosto che qualcuno, magari eletto, ma che non faccia i pur legittimi interessi britannici). E via frenando. Leggi: la scelta dei vertici dell’esecutivo tocca ai governi, non al parlamento, per quanto eletto da popolo. In questo senso, il dibattito di stasera sarà forse una conquista mediatica ma si rivelerà probabilmente inutile nella scelta della leadership dopo le elezioni del 22-25.
Il secondo motivo di perplessità riguarda la scelta dei candidati invitati a discutere. Senza girarci intorno: perché nessuno ha pensato di chiamare Le Pen, Farage o altri che potessero esprimere un’idea fortemente critica nei confronti dell’Unione europea? Se si hanno forti ragioni per chiedere più federalismo in Europa, per dire che l’euro è solo un disastro ma va radicalmente riformato, per sostenere che il ritorno alla sovranità nazionale e la stretta sull’immigrazione non sono la soluzione alla crisi economica e alla disoccupazione, bisogna pur confrontarsi con Le Pen, Farage e gli altri. Altrimenti ci si parla addosso e si dà l’impressione che i politici europei preferiscano liquidare senza discuterli gli argomenti, se e dove ci sono, di milioni di elettori europei. Proprio quegli elettori a cui i cinque candidati dell’euro-dibattito avrebbero il dovere di spiegare, se e dove ce ne sono, le loro buone ragioni.
@andreavaldambri