Non è la prima volta che accade. Con studiata reiterazione si verifica ogni volta che l’attenzione generale sia accresciuta da circostanze per così dire particolari. La storia recente riferisce di chiusure nel settembre del 2011, poi nel giugno del 2013 e più recentemente il 1 maggio. Ed ora il rischio è che i cancelli rimangano chiusi anche il 17 maggio, la serata dei Musei aperti. Vigilia della Giornata Internazionale dei Musei.
Accade a Roma. Accade al Colosseo. Mentre si tenta di rendere fruibili al grande pubblico i migliaia di spazi museali statali e comunali disseminati sul territorio, estendendo la loro apertura alla fascia serale ad un prezzo popolare, uno dei monumenti simbolo rischia di rimanere off limits. Nel bel mezzo dell’operazione di presentazione dell’iniziativa, il ministro Franceschini lancia l’allarme. Denunciando come sia possibile che non si trovino nell’organico in forza i 5 custodi necessari a garantire l’apertura “straordinaria”. Il monumento “deserto”, chiuso per consentire una visita sicura al presidente Obama, rischia una nuova serrata.
La struttura, con i ponteggi che ne stanno assicurando il restauro, il ripristino dei colori originali da tempo obliterati dallo smog, ostaggio di sé stesso. Dopo la lunga controversia sul restauro, la questione delle chiusure. Elementi che sembrano indiziare il ruolo davvero marginale degli enti statali. La loro incapacità di proporsi come guide autorevoli nella gestione del Colosseo. Che, da quel che è accaduto anche nel recente passato, quel che si muove tutt’intorno al suo esterno, tra ambulanti e centurioni, sembra quasi essere la lente d’ingrandimento con la quale osservare i tanti guasti del Paese nel settore dei Beni Culturali. Il sicuro amplificatore mediatico attraverso il quale far rimbalzare notizie. Messaggi. Non diversamente da Pompei. L’uno e l’altro parte del problema. Cifra dell’Italia al collasso. Se non altro nel settore del quale più ci vantiamo.
A determinare il caso la decisione da parte dei dipendenti del Colosseo di non rispondere, nelle proporzioni previste dall’intesa nazionale all’apertura serale. Una presa di posizione che non lascia altre possibilità al Ministero. Che non ha il potere di inviare da altre sedi museali il personale necessario.
Così il sindacato piazza il suo colpo, assestandolo per bene. Lo fa, ribadendo come almeno nel settore dei Beni Culturali, la sua forza sia eccezionalmente grande. Il potere decisionale quasi assoluto. Il ministro Franceschini si è detto “stupito e rammaricato”. Eppure le questioni sul tavolo non sono nuove. Un organico inadeguato, che costringe ad una turnazione non prevista. Salari impropri. Ragioni che si trascinano. Da anni. Da uno sciopero all’altro. Motivi e ragioni uguali a quelle di tanti musei ed aree archeologiche. Ma che al Colosseo fanno rumore. Più che altrove. Per questo gridate, anche strumentalmente.
Eppure nel giugno dello scorso anno l’allora ministro Bray, dichiarava “Il Colosseo non resterà mai più chiuso. Non può accadere”. In quella occasione a provocare l’assemblea sindacale e la chiusura del monumento, la circolare che costringeva i direttori di musei, responsabili di siti archeologici e funzionari della soprintendenza ad una scadenza triennale. In altri casi la carenza di personale e stipendi non pagati.
Gli attori ricorrenti della storia, sempre gli stessi. Da un lato i sindacati “cattivi”, dall’altro un Ministero senza fondi. Da una parte lavoratori che con le loro rivendicazioni decretano la chiusura di uno dei monumenti simbolo della Città, rischiando così di oscurare l’immagine, già peraltro scolorita, del Paese. Dall’altra ministri senza strumenti per provvedere ad un rinfoltimento degli organici, ad una loro più congrua retribuzione.
Dati inequivocabili. Elementi incontrovertibili. Se non si allarga il ragionamento. Se ci si ferma alle chiusure e alle risorse economiche. Se non si oltrepassa il contesto romano. Quando si prova a superare questi “limiti” le questioni si ridimensionano. Così le colpe degli uni si mescolano con le presunte ragioni degli altri. Ci si accorge che anche nell’affaire del Colosseo chiuso a mancare è il Mibact. Incapace di rispondere alle richieste delle sigle sindacali dei Beni Culturali. Incapace di rigenerarsi nella struttura organizzativa. Incapace di utilizzare con raziocinio le sue poche risorse. Come non pensare alle ingenti somme impiegate in progetti chiaramente “inutili” a Pompei? Oppure ai 258 mila euro utilizzati a Paestum per impiantare di fronte ai templi due giardini di rose damascene, presto “secchi” dal momento che ci si era dimenticati di provvedere alla loro irrigazione? Oppure, ancora, ai 100mila euro versati nel biennio 2009-2010 al Meeting di Rimini, l’annuale manifestazione di Comunione e Liberazione. La lista degli sprechi autorizzati da tante Soprintendenze archeologiche con il beneplacito della Direzione generale, lunga. Troppo.
Continua ad essere assente una governance dei Beni Culturali. Prosegue la politica delle iniziative spot. Più di frequente la politica dell’emergenza. Per questo il Colosseo resterà chiuso. Per poi riaprire. Fino alla prossima chiusura.