I combattimenti, in particolare a Bengasi, coinvolgono oltre a gruppi estremisti islamici, ex ribelli autonomisti e a entità tribali, anche una formazione militare, guidata da un generale in pensione, dotato di aerei ed elicotteri dell’aeronautica
Si fa sempre più grave la situazione nell’est della Libia, in particolare a Bengasi, dove oggi i combattimenti hanno causato 24 morti e almeno 150 feriti, coinvolgendo oltre a guerriglieri jihadisti, a ex ribelli autonomisti e a entità tribali, anche un gruppo paramilitare guidato da un generale in pensione e dotato di aerei ed elicotteri dell’aeronautica.
Tripoli ha smentito qualunque coinvolgimento dell’esercito regolare nei combattimenti, ma la formula usata dal governo libico risulta decisamente ambigua. “L’esercito e i rivoluzionari”, ha detto il capo di stato maggiore Abdessalem Jadallah, fanno un appello “all’esercito e ai rivoluzionari perché si oppongano a qualunque gruppo tenti di prendere il controllo di Bengasi con la forza delle armi”.
A entrare in azione con pesanti bombardamenti aerei sono stati comunque soldati fedeli al generale in pensione Khalifa Haftar, nativo della zona orientale libica, dalla fine degli anni ’80 per vent’anni negli Stati Uniti dopo aver disertato dall’esercito di Muammar Gheddafi. Khalifa Haftar tornò in Libia proprio nel 2011 per partecipare alla rivolta che con l’aiuto della Nato portò alla fine del regime e al linciaggio del rais. Ora è ha capo di un cosiddetto “esercito nazionale” che Tripoli definisce “fuorilegge” ma che alcuni osservatori ipotizzano possa essere il braccio non ufficiale dei militari governativi. Non ufficiale e quindi proprio per questo esente da regole e legittimazioni internazionali.
“Non si tratta di guerra civile – ha garantito un portavoce fin dai primi bombardamenti – ma di un’operazione dell’esercito contro gruppi di terroristi” per “disinfestare” Bengasi dal terrorismo. Secondo testimoni sono stati colpiti gruppi fondamentalisti, tra cui il quartier generale del gruppo integralista “Brigata 17 febbraio”, che ha risposto con la contraerea. Nel contempo combattimenti sanguinosi sono avvenuti anche tra milizie fondamentaliste a Sidi Fradj, a sud di Bengasi.
La città dell’est da cui nel 2011 partì la rivolta contro Gheddafi da mesi blocca i principali terminal petroliferi del Paese, pretende di vendere il petrolio senza dover passare attraverso Tripoli e ha proclamato l’autonomia della Cirenaica.
Ma l’intera regione è preda di bande armate che si abbandonano quasi quotidianamente ad attacchi, omicidi e attentati, soprattutto contro le forze dell’ordine ma con inevitabili vittime anche tra i civili. Oltre a Bengasi, anche Derna, situata 280 chilometri ancora più a est, vede sempre più spesso le sue strade devastate da esplosioni e sparatorie mortali.
Proclami a parte, il governo di Tripoli non è riuscito a creare né un corpo di polizia né un esercito professionista e le fazioni armate si moltiplicano. Tra i loro obiettivi, anche diplomatici stranieri. La preoccupazione a livello internazionale sale continuamente. Ultima, proprio oggi, l’Algeria ha annunciato la chiusura della sua ambasciata nella capitale a causa, ha comunicato, di una “minaccia reale e imminente” nei confronti dei suoi diplomatici.