Che senso ha oggi scrivere? Per anni siamo stati abituati a fagocitare pubblicità e televisione in un’epoca di strapotere dell’immagine. La luce della tv e dei neon, i colori sparati dei cartelloni che affogano le strade delle città. Un potere che ha portato gli stessi articoli pubblicati sui quotidiani a passare in secondo piano sommersi dalle foto, subito colte da uno sguardo frettoloso e distratto dal tanto rumore visivo.
Oggi le cose però stanno cambiando, tutti scrivono molto di più, e spesso senza nemmeno accorgersene. Si scrivono e-mail, si twitta, si racconta la propria vita su Facebook, si tengono blog, … Si scrivono tante parole, quante mai se ne erano scritte in passato. Secondo uno studio pubblicato dalla University of California le parole scritte dal 2000 ad oggi sono più di quelle scritte dal tempo dall’invenzione della scrittura al 2000. Nel frattempo, però, travolti da questa scrittura veloce e un po’ compulsiva, spesso perdiamo un tassello: la memoria di cosa significa scrivere, ovvero il senso di lasciare un segno di noi stessi, anche se sulla sabbia del mare di internet. In fondo la scrittura segnò l’inizio della storia, del sondabile, della memoria, appunto. Per ragionare su questa ampia tematica è necessario ripartire da quel arcaico mezzo di comunicazione composto di carta sporcata d’inchiostro e chiamato libro; ovvero ripartire dalla scrittura che necessita di quello splendido lusso che è il tempo di scrivere, e anche di leggere. Un lusso sempre più raro e che proprio per questo acquisisce sempre più valore. Ma cosa significa scrivere, oggi? Perché abbiamo sentito la necessità sociale e storica di tornare a scrivere e di farlo in maniera così massiccia?
Per rispondere a questo quesito è nato anche un festival, si chiama semplicemente Scrittura (www.scritturafestival.com) e si svolge da Ravenna dal 20 al 25 maggio. A confrontarsi sulla irrisolvibile questione saranno autori dalle “scritture” molto differenti tra loro: quella ironica di Marco Malvaldi, quella lirica di Antonio Moresco, quella machiavellica del premio Strega Walter Siti, quella cruda e diretta di Nicolai Lilin e molte altre. In molti si interrogheranno amleticamente sul proprio lavoro e sulla fascino discreto della parola, che messa nero su bianco acquisisce (per una qualche insondabile alchimia) un valore diverso da quello che aveva prima, quando era una semplice parola pronunciata.
La domanda ovviamente è senza risposta, come lo sono sempre le domande più interessanti.