Economia & Lobby

Expo 2015, perché è un grande errore

Il problema di Expo 2015 non è la corruzione né i ritardi. Il vero problema è che non avrebbe dovuto esistere. Quando, in preda ad una ubriacatura retorica collettiva,  si rinuncia ad una seria analisi costi benefici, chi ci perde è la collettività. 

di Roberto Perotti* (lavoce.info)

Nel luglio 2009, il  sindaco di Milano Letizia Moratti scriveva:
“[L’Expo] è un progetto che si propone non solo obiettivi di crescita economica, ma anche di rafforzamento del dialogo interculturale e di responsabilità sociale nei confronti di paesi colpiti dal dramma della fame e della povertà. … Milano deve essere uno snodo cruciale … un punto di riferimento per il sistema Italia e il mondo intero. …  [L’Expo dovrà essere] la proposta corale e condivisa di nuovi paradigmi per l’esistenza del mondo“.
(Da: “Con l’Expo ritorneranno i tempi di super Milano”, Il Sole 24 Ore, 24 luglio 2009. Grassetto aggiunto.)

Perché l’Expo è un grande errore

Né la corruzione né i ritardi sono il problema principale di Expo 2015. Il problema principale è che l’Expo non sarebbe dovuto accadere. Esso è nato e cresciuto sull’onda di un’orgia di retorica come quella ben rappresentata nella citazione qui sopra. (1)
Sia chiaro:  la decisione di fare l’Expo è stata prima di tutto politica ed emotiva, e sarebbe stata presa in ogni caso.  Tuttavia questa ubriacatura collettiva è stata supportata e legittimata da stime economiche azzardate, che ne hanno avallato i voli pindarici.Accettate acriticamente dai mezzi di informazione, ripetute e tramandate poi in innumerevoli occasioni, sbandierate da politici e commentatori, queste stime hannoinstillato il miraggio di centinaia di migliaia di posti di lavoro e di altri enormi benefici economici a costo zero.
Questo breve contributo si ripropone di ricostruire come tutto ciò sia potuto accadere. Una versione più estesa in formato ebook può essere scaricata gratuitamente qui.

L’Expo: un grande bonus per Milano e l’Italia?

La Tabella 1 illustra le previsioni degli effetti economici di Expo 2015, come riportate sulRapporto di Sostenibilità 2013. La prima colonna riporta la spesa iniziale per le sole infrastrutture dell’Expo, quali i padiglioni, l’anfiteatro etc., ed escludendo quindi le opere infrastrutturali connesse. Questa spesa ammonta a 3,2 miliardi.

 

Dati in miliardi di euro
Fonte: Rapporto di Sostenibilità 2013, pagg. 76-77.
Basato sullo studio: L’indotto di Expo 2015, a cura di A. dell’ Acqua, G. Morri, E. Quaimi, rapporto di ricerca per Camera di Commercio Milano, ed.  Expo 2015.

La spesa iniziale attiva una produzione totale addizionale di 23,6 miliardi (colonna 2) e un Pil (o valore aggiunto) addizionale di 10,1 miliardi. (2)  L’occupazione extra creata è di 191.000 lavori equivalenti a tempo pieno annuali totali (cioè, per esempio, 19.100  all’anno per 10 anni, colonna 4).
L’aumento totale di produzione e dl Pil è il risultato di tre effetti. Il primo è l’aumentodiretto di domanda, pari alla spesa iniziale nella colonna 1. Il secondo è l’effetto indirettodi questa spesa: per produrre i beni e servizi domandati nella colonna 1, sono necessari altri beni e serivizi; la produzione di questi ultimi richiede a sua volta altri beni e servizi, etc. Si attiva quindi un effetto moltiplicativo che può essere misurato con la famosa metodologia delle tavole di input-output. Il terzo effetto è quello indotto, cioè la maggior spesa per consumi che si crea in seguito al maggior reddito prodotto dagli effetti diretti e indiretti.
Ci sono poi i flussi turistici: i visitatori – se ne aspettano 20 milioni – consumeranno beni e servizi, con gli effetti moltiplicativi visti sopra. Infine, ci sono gli effetti “legacy”, cioè “eredità”: l’Expo farà nascere nuove aziende, con effetti positivi su domanda e imprenditorialità. Aumenterà l’attrattività di Milano, generando nuovi investimenti esteri, e turismo aggiuntivo, sia congressuale sia culturale, anche una volta che l’Esposizione sarà finita.
A tutto questo vanno aggiunti gli effetti delle opere infrastrutturali connesse. Queste sono, in realtà, la parte di gran lunga maggiore di Expo 2015. Come si evince dalla Tabella 2, queste includono, o avrebbero dovuto includere, linee metropolitane, strade come la Brebemi e la Pedemontana, e innumerevoli altre opere.
Gli effetti di questi investimenti sono stati stimati in un altro studio, del centro studi CERTeT dell’Università Bocconi, e sono mostrati nella Tabella 2 (risultati molto simili appaiono nel documento di candidatura di Milano). Come si vede, l’aumento stimato della produzione e del Pil è enorme.

 

Dati in miliardi di euro
Fonte: Studio del CERTeT – Università Bocconi. Autori: Angela Airoldi, Tatiana Cini, Giacomo Morri e Enrico Quaini., coordinamento di Lanfranco Senn.

I numeri della Tabella 1 e 2 sono stati citati migliaia di volte negli organi di stampa e di informazione in generale, e nel dibattito politico. Vale quindi la pena studiarli meglio.

Perché i risultati attesi sono sovrastimati

Cosa c’è di sbagliato in questa metodologia? Essa ignora che tutte le risorse usate hanno un costo. Di conseguenza, questa motodologia fornisce sempre, in qualsiasi circostanza, dei valori positivi. In altre parole, qualsiasi progetto di investimento valutato con questa metodologia mosterà sempre un aumento della produzione e del Pil. Perché allora non raddoppiare l’investimento iniziale, o triplicarlo, o quadruplicarlo?
Il primo costo da considerare ovviamente è che i soldi non piovono dal cielo. Per investire 3,2 miliardi prima o poi bisogna alzare le tasse di circa 3,2 miliardi (questo non significa che l’Expo non possa essere finanziato in deficit, ma solo che prima o poi bisognerà ripagare il debito alzando le tasse). (3) Ma alzare le tasse riduce la produzione e il Pil.
Come altro esempio, si prendano i flussi turistici. Si attendono 20 milioni di visitatori, di cui circa 15 milioni italiani. I loro consumi non sono tutti aggiuntivi. Ovvviamente nei due giorni che visita l’Expo il visitatore riduce altri tipi di consumi: se non avesse visiato l’Expo, magari sarebbe andato al ristorante nella sua città, oppure allo stadio, oppure a un museo. Tutti questi consumi mancati dovrebbero essere conteggiati in riduzione dei consumi aggiuntivi.

Gli usi alternativi dei fondi

Ma c’è un secondo problema in questa metodologia. O meglio, e per essere onesti, questo non è necessariamente un problema con la metodologia, ma con l’interpretazione che ne è stata data. Supponiamo che, pur tenendo conto del costo delle risorse, le stime mostrino un aumento di produzione e Pil. Significa questo che vale la pena intraprendere il progetto? Non necessariamente. Ci potrebbero essere altri progetti che generano un aumento ancora maggiore, e ad un costo inferiore.
Ecco due esempi, fra le migliaia possibili.
È difficile fare classifiche quantitative, ma è opinione di molti che Milano sia la città europea più imbrattata dai graffiti. Sicuramente una strategia per ripulire definitivamente la città dai graffiti costerebbe una frazione del costo dell’Expo. A parte l’ovvio beneficio per i cittadini, cosa avrebbe più risonanza a livello di attrazione turistica: “La città di due milioni di abitanti che si è ripulita dai graffiti e ha ingentilito vie e piazze”, oppure “la città che ha costruito l’ennesimo palazzo dei congressi in una zona a 10 chilometri dal centro”?
Infine, si consideri il Grafico 1 sottostante. Esso riporta il numero di piscine pubbliche per milione di abitanti in alcuni paesi europei. L’Italia è largamente ultima, con un quarto delle piscine per 1000 abitanti del Portogallo. Uno degli scopi dichiarati dell’Expo era di rendere più vivibile Milano. Quante pisicine si sarebbero potutre costruire e mantenere, in tutta Italia, con 14 miliardi? Cosa sarebbe stato più apprezzato dalla collettività? E, si noti, non è affato detto che l’effetto volano sull’economia di un milione investito in piscine sia minore di un milione investito in padiglioni per l’Expo.

Grafico 1: Piscine pubbliche per milione di abitanti

 

Fonte: Ministero della Salute, Quaderni per la Salute e la Sicurezza: Le piscine, p. 19, basato a sua volta su dati Assopiscine.

Previsioni ottimistiche

I due errori metodologici si sono poi combinati con previsioni estremamente ottimistiche.
Prendiamo per esempio la previsione di un incremento del turismo culturale e congressuale. Essa si basa esplicitamente su analoghe previsioni per Torino dopo le Olimpiadi. Senonché per Torino disponiamo ormai dei dati effettivi, e sfortunatamente non corroborano queste previsioni.
Il Grafico 2 (vedi e-book allegato) riporta gli arrivi e le presenze straniere a Torino dal 2004 al 2008, cioè nell’intervallo di due anni precedenti e successivi alle Olimpiadi, un altro evento che nella retorica di allora avrebbe dovuto fare di Torino l’ombelico del mondo. Il grafico si ferma al 2008 per evitare di includere anche gli anni della recessione. Nel 2007 e 2008, i due anni successivi alle Olimpiadi, gli arrivi e le presenze straniere furono più bassi che nel 2004 e 2005! Lo stesso andamento si è osservato nel Piemonte nel suo complesso.
Il declino del 2007 e 2008 è forse da attribuirsi a cause esterne concomitanti, per esempio la concorrenza spagnola? Difficile: se così fosse, si dovrebbe vedere su tutti i dati italiani. Ma nello stesso periodo, in Italia nel suo complesso sia gli arrivi che le presenze straniere sono aumentati, seppur di poco, come mostra il Grafico 4 (vedi e-book allegato)

Le lezioni

Per un politico e un amministratore è molto più appariscente ed appagante fare l’Expo che costruire delle piscine, togliere le buche dalle strade, o eliminare i graffiti dai muri. Ogni amministratore, ogni politico sogna di essere un grande statista. Ma non è di questo che hanno bisogno i cittadini. Soprattutto non se questi sogni di grandezza costano 14 miliardi di euro.
Quando fallisce ogni argomento razionale, c’è sempre il valore simbolico. La grande opera serve per “creare un simbolo per il paese”, un “punto di rottura”, “un fulcro su cui catalizzare le energie di rinnovamento”, per “realizzare un sogno che vada al di là dell’ordinario”. Se questa è la giustificazione, allora il costo dell’opera e i suoi benefici diventano secondari, e questo è sempre pericoloso: basta invocare l’“effetto sogno” per giustificare qualsiasi cosa, e per tacciare gli oppositori di “volare basso”.
Ma quando si rinuncia ad ogni considerazione razionale di costi e benefici per la collettività, il rischio è che, passata la sbornia retorica, i simboli di ieri divengano delle zavorre, o addirittura degli incubi.

(1) Tra le voci di dissenso: Alessia Gallione: Dossier Expo, Rizzoli, 2012. E, se è permessa una autocitazione, anche per prevenire l’ovvia domanda “perché solo ora?”, alcuni contributi miei e di Marco Ponti: “La solitudine di un liberista”, Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2011; “Grandi eventi? Meglio la città pulita”, con Marco Ponti, Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2011; “L’Expo non serve né a Milano né all’economia italiana”, intervista a Panorama, 24 ottobre 2011; ed alcuni interventi radiofonici, risalenti a date anteriori al 2011. Per correttezza, mi è stato segnalato che anche il M5S ha da lungo tempo preso una posizione critica, come si può vedere per esempio qui.
(2) Non tutto l’aumento della produzione diventa aumento del Prodotto interno lordo. La produzione di beni intermedi non contribuisce ad aumentare il Pil. L’aumento del Pil, o del “valore aggiunto”, è essenzialmente l’aumento della remunerazione dei fattori produttivi- lavoro e capitale- quindi dei salari e dei profitti.
(3) Più precisamente, bisogna alzarle di una quantità tale che il valore presente scontato sia uguale a 3,2 miliardi.