In questi giorni ho scoperto che l’autodeterminazione sarebbe un’esclusiva delle donne femministe e di sinistra. Tutte le altre non sono consapevoli e autodeterminate. Sarebbero gregarie del pensar maschile. Sarebbero possedute da culture introiettate la cui sparizione puoi notare soltanto se la pensi come me. Dicesi autodeterminazione quella di popoli e persone che si governano con proprie regole, scelte in base al proprio, rispettabile, livello di consapevolezza. Accanto alla parola autodeterminazione potremmo inserire le parole autonomia, consenso, libertà.
Negli anni ’80 il femminismo radicale statunitense, quello antiporno e anti/sex/positive, decise che una donna poteva dirsi autonoma solo se la pensava come loro. Diversamente si trattava di donne rincoglionite, il cui consenso poteva essere messo in discussione e che non avrebbero mai potuto generare una scelta consapevole senza essere state ribattezzate al corso per femministe d’origine controllata.
Una scelta consapevole, dunque, doveva ricevere patente di legittimità dal nucleo femminista tal dei tali che altrimenti ti rinviava a settembre e ti considerava né più e né meno che come ti consideravano alcuni uomini: senz’anima, non in grado di intendere e volere, perciò con ridotte facoltà di decisione e di intelletto e con nessuna responsabilità e affidabilità quando c’era da decidere autonomamente. Mi chiedo quale fosse la differenza tra questo tipo di atteggiamento di disprezzo per le donne, una diversa misoginia, e quello prettamente maschilista in cui c’era l’uomo che proclamava ovunque la propria superiorità morale, intellettiva, fisica, in casa, fuori casa, a scuola, a letto, nelle professioni.
Tornano prepotenti anche in Europa e in Italia certi dibattiti che non voglio semplificare, non vorrei davvero banalizzarne la complessità ma a margine di una discussione interessante ricorre questo umore, questa sottrazione di valore alle scelte che non condividiamo. Perché tu sei autodeterminata anche se fai una scelta che non mi piace. Lo sei perché quella è la premessa affinché io possa attribuire a te delle responsabilità. Lo sei perché non posso pensare che, oggi, io debba articolare il discorso collocando te, donna, ancora nella casella della vittima che non risponde mai delle scelte che fa.
Perché se di vittime bisogna parlare, persone che, per esempio, fanno scelte obbligate spinte dalla precarietà, non direi davvero che il problema riguarda solo le donne. Riguarda tutti e tutte. Invece mi si dice, ancora oggi, che una donna che non mi somiglia non assume mai scelte autonome, non è autodeterminata perché l’autodeterminazione sarebbe un’altra cosa. La donna di destra non si autodetermina. L’antiabortista non lo fa. Non lo fa la moralista, la deputata, la ministra. Non lo fa nessuna tra quelle che non la pensano come me. Solo io, unica, illuminata creatura di sinistra e femminista, avrei diritto a dire che le mie sono scelte autodeterminate.
Vi sembrerà un ragionamento poco importante ma in realtà siamo ancora qui a stabilire dove sta il diritto a dirsi intellettualmente autonome e liberate. Siamo qui a parlare di corpo delle donne mentre c’è chi ritiene che il corpo è mio ma non lo gestisco io. Siamo qui a ragionare di questo mentre io mi chiedo, seriamente, dove sono finite quelle femministe consapevoli del fatto che io sono autodeterminata se scelgo di abortire ed è autodeterminata quell’altra che non sceglie di farlo. Chi banalizza la libera scelta dell’altra è più propensa, infatti, a imporre leggi che mi obbligano ad agire secondo una visione morale che non mi corrisponde. Invece io ho il dovere di pensare a una legge che dia valore alle scelte di entrambe, egualmente rispettabili e da sostenere.
Sono femminista e leggo di femminismo da tanto tempo. Mai, come adesso, ho avuto la sensazione che sia in atto un inequivocabile regresso culturale. Mai ho avuto, come adesso, la precisa sensazione che ci sia chi vuole che ridiventiamo oggetti passivi delle decisioni altrui, più facilmente controllabili, perché se ti si dice che il tuo corpo non lo gestisci tu, e che l’unica autodeterminazione di valore è solo di certune invece che di tutte, a me queste paiono le premesse, poste in termini politici e in buona fede, che potrebbero essere strumentalizzate e poste alla base di un discorso finalizzato al controllo delle nostre scelte. Delle donne incerte, che non si fidano delle proprie sensazioni e delle quali viene sempre messa in dubbio, giudicata, ogni decisione, puoi dirigerne il pensiero dove vuoi. Diventano facili oggetti, passivi, di liberazioni, di utili colonizzazioni, buone per collaudare l’ego di “salvatori” e “salvatrici” e private della possibilità di liberarsi da sé. Diventano quelle che domani saranno chiamate a legittimare il tal governo, la tal legge, le tali quote rosa. Per esempio.
Non so. Sono sensazioni, non certezze, le porgo a voi. Ditemi cosa ne pensate.