Cinema

Festival di Cannes 2014, dal Mali alla Turchia i film sono opere di denuncia

Il cinema non perdona, specie se quello delle “grandi firme” in concorso Croisette. Corruzione, degrado, omologazione, avidità, valori culturali, sociali e civili in caduta libera, per non parlare di quelli religiosi soffocati dai soprusi integralisti. Da Istanbul uno dei migliori titoli finora visti in concorso: Winter Sleep del pluripremiato Nuri Bilge Ceylan

di Anna Maria Pasetti

Allarme decadenza. Il cinema non perdona, specie se quello delle “grandi firme” in concorso Croisette. Corruzione, degrado, omologazione, avidità, valori culturali, sociali e civili in caduta libera, per non parlare di quelli religiosi soffocati dai soprusi integralisti. Ebbene, i primi titoli concorrenti a Cannes 2014 sembrano particolarmente attenti a cavalcare l’onda della denuncia, diversamente espressa e situata. E a chi potrebbe obiettare che tutto il grande cinema sia “intimamente” di denuncia va risposto che in questo caso siamo nel territorio palese, quasi emergenziale, certamente da rilevare come un fil rouge almeno iniziale di questa edizione.

Senza dubbio ad incoraggiare tale percezione è il mauritano Abderrahmane Sissako che con Timbuktu mette in evidenza gli orrori del totalitarismo islamico in Mali, letterale carnefice di una popolazione (anche religiosa in maniera sana) che invece lotta per l’emancipazione a vari livelli. Proiettato come primo film concorrente, ha trovato la sua tristissima eco dal Sudan con la notizia della condanna a morte della giovane cristiana Meriam. Nel sofisticato e commovente film corale di Sissako la denuncia è esplosiva: non esiste tolleranza per chiunque infranga anche la minima regola coranica, con l’aggravante che a raggirarla sono proprio loro, gli agenti della “polizia islamica”. La giovane coppia sposata civilmente e con una figlia è sottoposta a lapidazione, così come sono condannati i ragazzi che cantano e suonano in casa propria, o chi semplicemente è intravisto fumare una sigaretta o a giocare a pallone in un campo affaticato dall’aradità. Sono forme di sopruso estremo note al mondo, ma il mondo sembra ancora fregarsene e dunque ben venga il cinema a denunciarle dall’interno, essendo africano anche il regista.

Come è auspicabile che un argentino come il giovane Damian Szifron abbia cinicamente “sbattuto” tra le pailettes della Croisette le contraddizioni del suo Paese: il film s’intitola Relatos Salvajes (Racconti selvaggi) e narra in un aggregato di episodi lo stato di profondo degrado in cui versa il Paese Sudamericano. Thierry Fremaux l’ha voluto in concorso, una scelta forse troppo audace per un film qualitativamente debole, e che tuttavia rinforza ulteriormente il trend di cui sopra: puntare su un cinema che spari a zero sul crescente imbarbarimento contemporaneo. E nel caso di Relatos Salvajes (non casualmente prodotto dal cinico Pedro Almodovar) l’obiettivo è ampliamente soddisfatto: cinque episodi caustici che non risparmiano nessuno, dai ricchi agli indigenti, dai giovani ai vecchi, tutti ridotti allo stadio di belve reciprocamente feroci. Dall’altra parte del globo, anche la Turchia è presa di mira e stavolta con uno dei migliori titoli finora visti in concorso. Si tratta di Winter Sleep del pluripremiato Nuri Bilge Ceylan da Istanbul. In 3 ore e 15 minuti dialogatissimi, porta in superficie il marcio di una nazione ontologicamente in bilico, esemplificata da un ricchissimo borghese e intellettuale dell’Anatolia che con arroganza dissimulata in generosità governa i destini altrui, senza accorgersi che sta smarrendo il proprio. Il denaro compra tutto, il denaro umilia tutto, censurando ogni tentativo di moralità. Un’opera di dimensioni mastodontiche su cui si tornerà a parlare.

Con minore evidenza ma con altrettanta forza, di degrado socio-culturale raccontano anche due biopic appena passati in concorso: il magnifico Mr Turner del britannico Mike Leigh e il meno riuscito Saint Laurent del francese Bertrand Bonello. Entrambi ambientati nel passato, sono lavori che tra le righe parlano di oggi, di noi. Sotto accusa è il mostro dell’omologazione che – guarda caso – si protegge all’ombra del denaro. Il genio della pittura inglese che attraversò Romanticismo e Victorian Age rifiutò un milione di sterline da parte di un magnate che voleva acquistare la sua opera omnia: “Voglio che i miei quadri appartengano alla nazione inglese, gratis”. Stupore, meraviglia, nostalgia: “Oggi solo un ufo parlerebbe così, specie nel mio Paese” ha chiosato lo stesso Mike Leigh interrogato sulla questione. Già la cultura gratuita per tutti, la democrazia profonda. Da parte sua il tormentato Yves Saint Laurent di Bonello rivoluzionò i costumi, e non solo in termini di fashion: contribuì a liberare la donna, emancipandola dall’autocensura ad aiutandola ad esprimersi nella sua individualità irripetibile ed unica. E – paradossalmente – fu l’ultimo combattente: “Sono stato il primo e l’ultimo, oggi gli stilisti sono tutti uguali, senza emozioni. Tutti pubblicitari”, disse di sé negli ultimi mesi di vita.

Il trailer di Winter Sleep

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